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L’evangelista Matteo ci richiama alle nostre responsabilità |
Ileana Mortari Pubblicato in data 24/11/2016 ● FUORI PORTA WEB © 2000
In questa prima domenica di Avvento si prosegue la lettura del discorso
escatologico di Matteo, introdotto e spiegato nel commento al Vangelo della 1°
domenica di Avvento ambrosiano e che in parte è stato letto nella versione di
Luca nella 33° domenica C.
Il primo evangelista è quello che ci accompagnerà per tutto l’anno liturgico A;
e’ dunque il caso di dare uno sguardo d’insieme al testo di Matteo.
Ma prima è utile ricordare che l’annuncio del Vangelo è sempre preceduto
dall’espressione: “Dal vangelo secondo …..”, perché esso non è un’opera scritta
da una sola persona, ma l’insieme di diverse tradizioni, dapprima orali,
confluite nel corso di parecchi anni in un testo, la cui iniziale sistemazione
sarebbe stata, secondo la tradizione, dell’apostolo Matteo-Levi: il racconto era
scritto in aramaico, ma è andato perduto.
L’attuale testo greco, che noi possediamo, è invece l’opera redazionale di un
giudeo-cristiano della seconda generazione (cioè della II° metà del I° sec.) che
parlava bene il greco ed aveva assimilato le tradizioni e i problemi della sua
comunità, quasi certamente ubicata in Siria, ad Antiochia; egli utilizzò il
vangelo di Marco, che è del 65-70 d.Cr., nonchè una fonte di “detti” del Signore
proveniente dal testo aramaico, e, tra l’80 e il 100 circa, stese un racconto
della vita di Gesù dando ampio spazio ai suoi insegnamenti.
La struttura del testo è infatti caratterizzata dalla presenza di cinque ampi
discorsi che costituiscono un po’ le “colonne portanti” del vangelo,
inframmezzate da sequenze narrative e concluse dai capp.26-28 con il racconto
della passione, morte e resurrezione di Gesù.
Le cinque sezioni narrative contengono: il discorso della montagna, tutto
imperniato sulla “nuova giustizia”dei cristiani (capp.5-6-7); il discorso
missionario, relativo agli inviati del regno (cap.10); il discorso in parabole,
concernente il progetto del regno (cap.13); il discorso ecclesiale, che riguarda
la comunità dei discepoli (cap.18); e infine il discorso escatologico, in cui
troviamo la manifestazione del regno e la crisi della fine (capp.24-25).
L’obiettivo del redattore era con ogni probabilità quello di fornire un’ampia
catechesi postbattesimale ai neoconvertiti provenienti dall’ebraismo.
Teniamo presente che in quegli anni il giudaismo, persa la propria consistenza
territoriale e politica dopo la catastrofe del 70 (distruzione di Gerusalemme e
del Tempio ad opera dei Romani), si stringe attorno alla legge e a una rinnovata
ortodossia; questo pone alla comunità di Matteo l’interrogativo: qual è
l’originalità cristiana nei confronti, appunto, della rinnovata dottrina
giudaica? Di qui l’impostazione del primo vangelo, che pone continuamente a
confronto la giustizia
e il comportamento di scribi e farisei e la giustizia dei cristiani, la quale
deve essere superiore alla prima, non certo per la quantità dei doveri da
osservare, ma nell’ordine della qualità.
Anzitutto Gesù recupera il centro della volontà di Dio affermando il primato
della carità: “siate perfetti come il Padre vostro” (Matteo 5,48), perfetti
nell’amore e nel perdono; in secondo luogo invita a liberarsi dall’attaccamento
al denaro e ai beni terreni, fonte di affanno e preoccupazioni. Segue l’invito a
non limitarsi all’ascolto della Parola, ma a metterla in pratica; questo
corrisponde a costruire la propria casa sulla roccia (cfr. Matteo 7, 24-27).
Sul medesimo tema Matteo ritorna poi con insistenza nella parte relativa al
giudizio finale; ne leggiamo un passo nella liturgia odierna, e il messaggio in
sintesi è questo: se è giusto vivere e lavorare e anche onestamente godere della
vita (così al tempo di Noè e così sempre, nel tran tran quotidiano), è però
fondamentale non essere superficiali e indifferenti (come i contemporanei di
Noè), ma trovarsi in ogni istante interiormente in pace con Dio e la propria
coscienza, perché la “venuta del Figlio dell’uomo” (v.39) sarà improvvisa,
“nell’ora che non immaginate” (v.44) e farà da discrimine tra chi si sarà
adeguatamente preparato e chi no (cfr. i vv.40-41), perché colui che verrà
leggerà infallibilmente dentro i cuori.
Che cosa si intende per “venuta del Figlio dell’uomo”? Nel contesto del cap.24
di Matteo è la venuta di Gesù in gloria, alla fine dei tempi, ma evidentemente
per il singolo questa improvvisa apparizione si colloca al termine della sua
vita terrena.
Ecco perché il brano liturgico odierno è di capitale importanza, e non solo
nell’ambito dell’Avvento, che ci fa riflettere sugli ultimi tempi, ma come
elemento imprescindibile del nostro vivere quotidiano.
A questo proposito ho trovato molto utile e significativo quanto propone padre
Fiorenzo Mastroianni, domenicano:
“Il brano evangelico di Matteo funge anche da test spirituale per ciascuno di
noi:
- se, leggendolo, abbiamo eccessivo timore, forse abbiamo bisogno di una terapia
a base di fede, speranza e carità: forse abbiamo bisogno di mettere ordine nella
nostra intelligenza e nel nostro cuore;
- peggio sarebbe se la lettura del brano ci lasciasse indifferenti: sarebbe
segno che forse viviamo su un binario morto, e ci siamo rassegnati alla
“fatalità” di una vita senza sbocchi. Ma attenzione: il risveglio – nella vita
eterna – sarebbe traumatico!;
- se infine la lettura del Vangelo odierno ci rende pensosi, e ci fa “guardare
in alto” con fiducia, sperando nella bontà del Signore, ma senza narcotizzare la
nostra volontà, beati noi! Gesù è contento di noi, perché ha raggiunto lo scopo
per cui ha parlato e parlato così!”
da “Gesù di Nazareth, unico Maestro” Omelie 2/03 p.8 |
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