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CulturaGuglionesi
Pubblicato in data 19/3/2013 ● Click 1561

La lingua stuprata da ogni dove


Mario Vaccaro © FUORI PORTA WEB

Vista l’assenza di manifestazioni di solidarietà in favore dei due concittadini colpiti dall’”avviso di garanzia” notificato dal Di Narzo, me ne faccio personalmente promotore con quest’inciso. La condotta criminosa dei suddetti, quand’anche fosse stata realmente perpetrata, non mi sembra aver compiutamente realizzato gli estremi dello stupro: anziché violentata, la nostra sig.ra lingua ha tutt’al più ricevuto molestie dai predetti.

Scherzi a parte, penso che se stilassimo un elenco degli abusi di cui siamo destinatari, a me sembra che ve ne sarebbero di molto più seri nei cui riguardi dover esternare la propria indignazione. Si potrebbe passare al vaglio tale denuncia prendendola come un’occasione per sorridere, se non fosse che la denuncia stessa è meritevole di censura.
Innanzitutto, che bisogno c’era di fare i nomi? Se ciascuno di noi dovesse meritare la gogna per le proprie debolezze o fragilità varie, dovremmo darci appuntamento tutti in piazza davanti al ceppo.
Ma a parte la questione del cattivo gusto, a parer mio il nostro compie un’errata valutazione circa l’obiettivo di una crociata di cui condivido l’opportunità: metafora permettendo, credo sia utile prendere meglio la mira.

Quando al cinema vidi “Palombella rossa”, nell’assistere alla scena esilarante dell’intervista mi ritrovai ad immedesimarmi in Apicella che, in una sorta di delirio parossistico, giunge a schiaffeggiare l’intervistatrice, rea di aver utilizzato termini come trend positivo, cheap, kitsch e vari luoghi comuni: “chi parla male, pensa male e vive male”. Per farla breve, se Di Narzo leggesse i vari articoli presenti nel blog s’imbatterebbe nei veri stupratori della lingua (ché spesso sono i politici ad utilizzare una specie di “gergale”, per farsi identificare quali appartenenti ad un certo mondo, e ad esempio piazzano “mission” laddove “obiettivo” suona meglio, quantomeno in ossequio ad un atteggiamento autarchico che preferiamo a quello esterofilo … italiani!).

Nella speranza che il Di Narzo non si senta offeso dalle mie opinioni - che tali restano - la cui forma d’espressione è semplicemente frutto d’una scelta derivante dalla mia indole un po’ goliardica, credo converrà con me sul fatto che non si possa ritenere indegno di comunicare i propri pensieri colui che non ha frequentato spesso i luoghi della grammatica. Qualcosa mi dice che ancor più del sottoscritto sia a conoscenza delle sperimentazioni linguistiche di autori nostrani e stranieri riguardanti proprio l’utilizzo non convenzionale della grammatica, superando l’ortodossia della stessa: certo è una scelta consapevole, comunque dimostra che è importante quel che lo scrivente vuole comunicare. Senza contare che mi sono imbattuto in prof. che scrivono “qual è” con l’apostrofo, insigni giornalisti usano “dove” al posto di “in cui”, “se stesso” con l’accento … e se frequentasse Facebook? … gli verrebbe voglia di fare il kamikaze per farsi esplodere con l’intera comunità virtuale.
Nel suo articolo, inoltre, Di Narzo ha scelto stranamente di usare il superlativo “asprissimo” e l’avverbio superlativo “asperrimamente”: questo suo esercizio di stile mostra come la grammatica italiana sia materia ostica che solo in pochi conoscono come lui (a me fu insegnato l’uso della 2°, in uno Zingarelli del ’41 – ho controllato – addirittura è presente solo la 1°).

A chiusura, diceva vattelappesca (ricordo raramente gli autori delle citazioni) che la democrazia d’un paese è misurabile dalla qualità delle parole utilizzate dai cittadini: questo sistema di misura s’aggiunge a tanti altri utili per misurare la democrazia (… da come vengono trattate le donne, … da come vengono trattati i bambini, … dalla cultura ecc.) e tutti più o meno forniscono il medesimo risultato: la nostra non è molto dotata.
Quindi, non si faccia cattivo sangue, è solo il segno dei tempi. Volendo usare un’altra metafora – quando la rileggerò mi pentirò d’averla scritta - la lingua è l’abito che scegliamo da far indossare ai pensieri; le parole sono la stoffa, la grammatica le cuciture e la costruzione della frase il modello che disegniamo per l’abito. I contenuti che intendiamo esprimere sono ancora più importanti, come la persona che indossa un bell’abito che, se è un cesso, tale rimane (e se è un bell’uomo resta bello anche se indossasse uno straccio). La lingua è solo il veicolo … ho esaurito le metafore.
E’ fatto notorio che l’italiano con cui ci esprimiamo è quello della TV, che non è frequentata da intellettuali, ma da politici come Gasparri, Scilipoti … non assistiamo a sfilate d’alta moda, ma a collezioni “made in China”. Noi molisani, poi, siamo in quella scatola idealmente rappresentati da Biscardi e Di Pietro, che grandi stilisti non sono.


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