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CulturaGuglionesi
Pubblicato in data 6/9/2013 ● Click 1711

Guglionesi tra Cultura e culturame


Arcangelo Pretore © FUORI PORTA WEB

Entro nel dibattito aperto da Luigi Sorella, Mario Vaccaro ed altri sulla cultura (mi preme, in questo ambito tentare di caratterizzare quella locale) con un po' di ritardo, vuoi perché mi aspettavo ulteriori interventi che arricchissero la complessa e articolata tematica , vuoi perché volgevano a conclusione le manifestazioni culturali e non , e ciò mi offriva la possibilità di essere più esaustivo . Peraltro, avrei anche voluto attenermi a focalizzazioni locali in merito che fossero anche traccia e direttrice su cui innestare qualche riflessione;vedo che non ve ne sono stati. Provo quindi a circoscrivere il concetto di cultura evitando le accezioni minimalistiche che soffrono la facile tendenza alla parzialità poiché la definiscono in negativo ; ad esempio: devastare l'arredo urbano, imbrattare luoghi pubblici,pisciare nei posti più o meno ameni di Castellara, sottrarre oggetti e tele di interesse artistico o archeologico. Ma la mia delimitazione è altrettanto distante dalle tendenze accademiche che la vogliono "alta" ed elitaria, possibilmente cerebrale ,magari pomposamente derivata e confortata da una formazione universitaria. Riporto invece il concetto di quello che , a mio parere,dovrebbe intendersi per cultura nella pratica quotidiana del vivere il nostro territorio (dopo aver ” filtrato” le molte accezioni possibili ). Così la propongo come :” l'appropriarsi degli strumenti conoscitivi di qualsiasi tipo e provenienza che”i saperi” del luogo , nei tempi storici , hanno accumulato e trasmesso attraverso l'avvicendarsi delle generazioni, per integrarli con quanto d’altro, di meglio e di nuovo proviene da altri ambienti a cui a rete siamo interconnessi che nell’insieme fanno” Mondo”. Seguendo tale caratterizzazione operativa , centrata sull’esserci nel posto in cui si vive abitualmente , confortati dalla materiale “ probabile-certezza” , giorno dopo giorno, di poter ancora continuare a guardare il nostro” paese-paesaggio” ,avvolgerlo e percepirlo con i nostri sensi, così come ad oggi abbiamo fatto fin quasi dalla nascita e, godendo di quell’incantevole sinestetica aura dei nostri luoghi irripetibile altrove , potremo rafforzare la coscienza di viverlo appieno. Viverlo, il nostro ambiente, provando la confortante sensazione dell’ esserci, qui ed adesso , respirando l’aria pregna degli umori della nostra buona terra intiepidita ad est dall’azione calmierante del vicino mare, resa frizzante ad ovest dal freddo spolvero dei monti lontani . Mirando e rimirando da Castellara o dalle finestre di casa nostra ( non di windows) l’area vasta intorno : un riposante scorcio del territorio che appartiene al Comune e, molto di più : “dall’Appennino alle Diomedee…”avremo anche la tonificante certezza di sentirlo nostro,di sperimentare, spesso, con nostalgica tenerezza, anche l’ appagante senso di appartenenza al luogo in cui siamo nati ( io , come tanti “ d’antan” sono nato in casa ), unitamente alla sensazione di controllarlo e trasformarlo attraverso le attività che ciascuno di noi ha bisogno di intraprendere per procurarsi il proprio e spesso anche l’altrui sostentamento. Mi soffermo su questi due ultimi aspetti : il controllo e la trasformazione del territorio, poiché hanno avuto in passato ( e dovrebbero a ragione averne di più oggi ) una forte implicazione nella caratterizzazione della cultura dei luoghi . Inizio la mia riflessione a partire dal controllo del territorio che non dobbiamo intendere , (purtroppo viene spontaneo) solo come attività repressiva ( che pure deve esserci) demandata agli organi istituzionali presenti nella nostra comunità : Vigili Urbani, la Stazione dei Carabinieri, l’Amministrazione Locale a ciò deputati ; bensì, dobbiamo intendere il suo controllo come un impegno volto alla salvaguardia e alla conservazione della memoria del territorio . Allora il territorio si fa” conoscenza “e genera quella gratificante sicurezza che nel tempo deve diventare la cultura” identitaria dell’appartenenza” che, ci auguriamo , a partire dalle persone che abitano Guglionesi possa estendersi, rafforzandosi, alle loro famiglie ; augurandoci, infine ,che attraverso risorse economiche dedicate possa permeare tutte le organizzazioni sociali di consolidata rappresentatività (o di nuova istituzione) che ad oggi strutturano e danno continuità alla vita sociale del nostro paese. Pertanto,solo richiamando il principio di responsabilità verso se stessi e verso gli altri si può sperare che la qualità della vita sul territorio possa, ad un tempo, essere favorevolmente condizionata dalla qualità dei comportamenti e delle azioni collettive che ciascuno esterna, tenendo bene a mente che il grado del “vivere bene ( e felicemente) il territorio “ dipende da quanta cultura civica le persone, le famiglie e le istituzioni quali la Scuola , la Chiesa ( attraverso la sua millenaria tradizione morale) sono riusciti ad inculcare attraverso la loro azione educativa , di catechesi per la formazione di una” coscienza collettiva di popolo “( e non di una collezione separata di individui) nella nostra generazione e in quelle che attendono il futuro prossimo venturo. Pertanto, riprendendo il concetto iniziale di Cultura si può affermare che è cultura tutto il” sapere guglionesano” teorico ed esperienziale che ricordiamo a memoria ,che le famiglie, perché parte del loro ruolo genitoriale e le istituzioni locali, perché rientrante nel loro compito, hanno saputo accumulare e trasmettere a quanti oggi vivono sul nostro territorio . Ma la cultura non è un armamentario , la cassetta degli attrezzi per il mantenimento dello” status quo” volto a riprodurre in continuità con il passato l’esistente ; non è un sapere statico, bensì una strumentazione che deve anche trasformare l’ambiente di vita attraverso il lavoro umano .Pertanto , nel ricercare le antiche determinanti culturali che hanno accompagnato la storia del nostro paese sin dalle origini si possono individuare fondamentalmente tre forti matrici culturali portanti. La prima riguarda la traccia urbanistica ,ancor oggi sussistente, che ha strutturato Guglionesi ; la seconda è rappresentata dal territorio circostante il borgo che ha supportato l’economia locale prevalentemente attraverso l’ agricoltura , l’allevamento , la pastorizia e le attività di trasformazione locali ad esse complementari ; la terza matrice che ha formalmente organizzato la cultura guglionesana nel tempo storico è stata espressa soprattutto dagli ordini religiosi coevi con il delimitarsi del borgo antico all’interno di mura “certe” , anche perché storicamente il clero ha significativamente contribuito all’amministrazione del territorio insieme a : mastrogiurati, sindaci,notai… ugualmente incaricati dell’amministrazione, per conto delle diverse signorie, dell’ambito territoriale su cui ricadeva Guglionesi . Partendo dalla prima traccia culturale, quella urbanistica , che è stata , ed ancora oggi rappresenta, la struttura materiale che ha insediato e accumulato le nostre generazioni passate nello stesso luogo c’è da ricordare che ,specie in passato, la scelta di un insediamento urbano era quasi sempre legato a valutazioni strategiche di controllo del territorio . Anche con questo presupposto venne fondata Guglionesi, arroccata sulla parte alta della collina che accoglieva in epoca medioevale quasi tutto l’insediamento umano . Contestualmente, nella scelta fondativa non secondari sono stati favorenti fattori economici , importanti nel garantire la sopravvivenza della popolazione residente .Di fatto non si dà insediamento umano se nella mente dei fondatori non c’è un un’idea forte a cui possa far seguito un processo lungimirante di medio ,lungo termine di organizzazione e trasformazione del territorio. La storia guglionesana del dispiegarsi della cultura urbanistica nell’area del borgo antico la possiamo”leggere”nel modo in cui si è costruito nel tempo ; nell’organizzazione dei tre assi viari con il loro trasversale dedalo di viuzze ,che spesso si aprono nelle piazzette;strade naturalmente confluenti all’imbocco di fuoriporta. Ed è proprio questa configurazione strutturale della “pianta” di Guglionesi, che per averla noi percorsa più volte nel nostro tempo vita ,rappresenta , come una quercia antichissima ,le nostre consolidate radici culturali . La nostra cultura materiale è scritta nelle facciate delle case che “affacciano” sulle stesse strade : una volta, tuguri in legno , ( di cui testimoniano le “ruv” spartifuoco o le coperture a tetto con i coppi poggianti su un tavolato di legno sorretto da spesse travi di cerro , che diffuse, ancora oggi permangono nel borgo antico…); poi, abitazioni monofamiliari modeste, case signorili, case con qualche pretenzioso vezzo architettonico ; case che nella maggior parte delle famiglie condividevano gli ammezzati con gli animali da tiro, con i maiali , con il pollame… Ancora oggi c’e viva testimonianza di questa utilitaristica convivenza tra uomo e animali addomesticati testimoniata dalle residuali mangiatoie,” pagliere”,e soprattutto dagli anelli fissati al muro ,vicino alle entrate delle abitazioni per lo stazionamento esterno di cavalli, asini e muli ( oggi è spesso fonte di litigiosità l’eguale pretesa di parcheggiare gli attuali” cavalli meccanici :horse power “, ovvero le auto di proprietà, proprio davanti alla propria casa di proprietà!) Ancora oggi, se pure ristrutturate, quelle case, conservando grosso modo gli stessi volumi abitativi del passato, per tanti che da generazioni abitano gli stessi ambienti del centro storico, quei “vani” rappresentano la continuità delle loro generazioni che lì sono vissuti, che in quelle stanze li hanno messi al mondo, in quelle stanze sono morti . Ma l’abitare un luogo, specie in passato , prevedeva anche lo svolgimento sul posto di lavori artigianali utili per l’attività economica preminente: l’agricoltura . Pertanto il borgo, vedeva la presenza di officine per la lavorazione del ferro, del legno , della calce ; di negozi e drogherie, taverne ,“cantnol” e locali per qualsiasi altro tipo di smercio che potesse essere funzionale alla più o meno autarchica vita di paese. E’ Cultura il lavoro che nel nostro territorio specie in passato è stato prevalentemente lavoro agricolo , le cui pratiche colturali, i cui tempi stagionali si discutevano in quelle tribù conviviali che erano le famiglie patriarcali di Guglionesi .La “cultura delle colture” ha pervaso fortemente i primi apprendimenti di chiunque fosse figlio di contadini poiché alla conoscenza degli attrezzi agricoli, al porre in atto le buone pratiche di conduzione dei campi, era legato anche il loro futuro sostentamento. Era la cultura contadina un sapere orale elaborato e rielaborato a tavola , d’inverno magari sotto il camino, durante le apparentemente oziose passeggiate tirate a lungo, altalenanti tra Castellara e Lungomare . Discussioni su indirizzi colturali, tecniche ed espedienti da mettere in pratica il giorno dopo nei campi di proprietà. E’ cultura l’arte quasi scomparsa della lavorazione e della forgiatura a caldo del ferro che ,come in un presepe, trovava la sua rappresentazione vivente nella successione di botteghe che si snodavano lungo “ i frrar” di cui , ultimi dinastici rappresentanti ”a mantice” sono stati , i Terzano .Testimone attuale rappresentativo della lavorazione semì -artigianale “a freddo” del ferro , dei cui prodotti finiti con creativa inventiva dissemina i più svariati ambienti pubblici e privati è: “u stantator”. E’ cultura il lavoro nero che le donne ( altro che il velatamente sessista “riprendiamoci le femmine!”) hanno profuso nella panificazione in casa ; nella lavorazione a caldo, nell’imbottigliamento e la sterilizzazione dell’”estratto” di pomodoro; nell’insaccare, sempre in casa, la carne di maiale , dopo la macellazione , che talvolta, crudele, avveniva nelle pertinenze dell’abitazione, spesso in campagna , poco distante dal posto in cui l’animale era stato allevato .Processi delle preparazioni alimentari che solo cinquant’anni fa erano ampiamente diffusi in gran parte delle famiglie guglionesane. Una cultura famigliare , gelosamente custodita, affidata all’interno della famiglia , nell’esecutività fine, a chi, per esperienza, meglio sapeva attendere al compito . Un fare domestico oggi perduto, sottratto al controllo vigile e interessato di coloro che dei prodotti lavorati ne erano anche consumatori ;cumulato e riassorbito nei processi di lavorazione artigianali-semindustriali o industriali standardizzati ; oggi, esternalizzati dalla finanza privata ,sono diventati segmenti di produzione residuali nelle famiglie, lasciati agli ultimi attardati testimoni dei saperi delle genuinità di quelle che un tempo erano le principali “filiere alimentari “ familiari .L’elenco di ciò che per noi guglionesani è stata una marcata cultura ambientale potrebbe continuare a lungo, me ne astengo per brevità . Nei tempi storici che hanno guidato i tempi biologici delle persone, proprio al fine di veicolare i diversi aspetti culturali della comunità , accumularli e trasmetterli, si è strutturato quel fondante, pervasivo e potente motore comunicativo’ che è il nostro dialetto “gujnscian”, l’idioma che ha permesso di rendere intelligibile e materialmente praticabili le nostre, a volte complesse,lavorazioni applicate alle materie prime locali . E’ il dialetto , insieme alla struttura urbanistica ed al lavoro umano dei guglionesani fatto sull’ambiente la terza fondante nostra matrice culturale . In passato , e in parte continua ancora oggi il dialetto ad essere, quel fondante e pervasivo denominatore comune : un forte collante comunitario che ha consentito la più ampia comunicazione sociale orizzontale possibile , favorendo, spesso con il solo fiato della voce ,la conservazione del nostro patrimonio culturale locale . Una cultura orale in parte non riproducibile con uniforme espressività in segni, la cui sterminata ricchezza di sfumature è stata sintetizzata e grammatizzata nella lingua nazionale : il nostro italiano-guglionesano”, inevitabilmente infarcito di forzature dialettali. Il dialetto ,nelle famiglie che non l’hanno smesso, rappresenta l ‘ideale denominatore comune laico che caratterizza l’identità del luogo; un idioma che per i guglionesani è stata la prima lingua , quella della” iniziazione , della scuola “genitoriale ; solo dopo questo” imprinting” forte è venuto” l’asilo dalle suore”o la “scuola materna”; infine , a seguire,la formalizzazione alfanumerica della scolarizzazione di Stato e, con l’alfabetizzazione, la solidificazione permanente, scritta delle parole. Conserviamo,( e menomale!) rispetto alla Babele dei dialetti di Termoli il nostro guglionesano che dovrebbe avere una forte valenza identitaria e di coesione sociale ; rappresenta di fatto il dialetto lo strumento linguistico che fa di individui, nuclei familiari, raggruppamenti potenzialmente isolati un popolo. Un’altra forte matrice identitaria , coeva con le più antiche dimore di Guglionesi è la Chiesa , anzi sono le tante chiese che nei secoli attraverso il continuo succedersi nelle strutture di chierici, monaci e monache ha garantito l’unione spirituale della comunità .La cultura laica non è sufficiente, in genere, ad esaurire l’istintivo bisogno di superare la propria finitudine, ma viene (in genere) calmierata attraverso la fede nel sovrannaturale, così come con riferimenti spirituali diversi, dai tempi dei tempi, è accaduto nelle diverse geografie del mondo . La Chiesa è stata nella nostra comunità una sintesi ottimale di imponenti, intimidenti strutture architettoniche, perfettamente funzionali a catechizzanti liturgie volte ad educare il popolo alla nostra tradizione cristiana. Tempi della fede scanditi dall ‘unico calendario osservato da tutti, credenti e non : il “calendario giuliano” . Proprio attraverso la sua revisione operata dalla chiesa si è arrivati al “calendario gregoriano” , che si è rivelato una felice sintesi del calendario solare astronomico, che ne struttura la periodizzazione e le vite dei santi, dei martiri , le festività “terribili” che ne umanizzano i giorni. Un tempo la Chiesa imprimeva e ritmava l’ecumenico respiro profondo della comunità guglionesana riunita nelle chiese e, l’orologio collegato al campanile si sono anche qui rivelati una duale ,ottima, sintesi tra sacro e profano . Scandendo , l’orologio, con i suoi rintocchi il tempo del territorio secolarizzava le attività dei suoi abitanti ; suonando a distesa le campane richiamava nelle chiese i fedeli a continuare il loro cammino di fede . E’ stato in passato l’azione della Chiesa per la nostra comunità una catechesi totale che ha parimenti espresso una indirizzante politica culturale che si esplicitava nella”dottrina”, dando una orientante dirittura morale ed etica alla comunità partecipante . Una cultura veicolata soprattutto dalla liturgia , che ,fino all’epoca della riforma , il prete officiava per giunta in latino : una lingua sconosciuta ai più che diventava una cantilenante poesia interiore da recitare a memoria , che attraverso il suo significato nascosto impegnava la maggior parte (in passato,) dei fedeli analfabeti nell’invenzione di misteriose significazioni. Una liturgia che tuttavia aveva il suo cuore moraleggiante nell’omelia , spesso una esegesi dei Testamenti da cui trarre imbonenti , spesso colpevolizzanti, regole morali di vita comunitaria . Di fatto la Chiesa , più di altre istituzioni da tempi remoti ha lasciato tracce documentali e materiali certe del nostro passato. . Queste , fin qui delineate , che grosso modo possiamo, a ragione, ritenere essere le nostre antiche radici culturali, con una sorprendente progressiva e spiazzante accelerazione, dovuta alla tumultuosa crescita economica , supportata da un concomitante sviluppo scientifico-tecnologico; aspetti destabilizzanti per l’antica rassicurante cultura dei luoghi comportanti sostanziali mutamenti socioculturali che hanno riorganizzato il vecchio ordine sociale, ma non sono stati in grado, anche per via della disorientante complessità del nuovo di ricostituirne in continuità uno nuovo credibile e duraturo. Pertanto, ad iniziare dall’immediato dopoguerra e soprattutto negli ultimi decenni la manifesta, l’obsoleta ,non più praticabile cultura del nostro passato, gradualmente, è stata sostituita da un diffuso “culturame “. Il termine , diversamente da come appare ad una prima lettura ha solo in coda ( cultura-me) un ‘accezione negativa, un po’ dispregiativa; di fatto rappresenta un superamento e un significativo riorientamento delle nostre lontane radici culturali. Infatti ,riprendendo, per complementarietà la matrice urbanistica che ha dato fondamento materiale al nostro paese si può facilmente notare come l’altra (ad oggi ,duplicata o forse triplicata …)Guglionesi, scivolata per prossimità sulla sella o a valle della collina, rappresenti con i suoi nuovi quartieri , con i suoi palazzoni seriali la nuova cultura abitativa che identifica e caratterizza dal punto di vista generazionale la nuova popolazione guglionesana, inevitabilmente commista con la residuale fascia di popolazione anziana che quella cultura indelebile e per intero porta ancora scritta nella sua memoria biologica . La Guglionesi di nuova urbanizzazione è un confuso affastellarsi di costruzioni in cui è difficile rintracciare un’idea guida unitaria che negli aspetti viari , nelle piazze, (mancanti) , negli spazi verdi ( nulla di eguagliabile a Castellara”) raccordi con felice sintesi l’antico con il nuovo. Nel nuovo può esserci scienza e tecnica costruttiva , maggiore sicurezza e attenzione all’igiene; manca , di certo, il disinteressato respiro lungo di un progetto complessivo che vada oltre le generazioni di tecnici , costruttori e abitanti di oggi ; che possa essere una traccia di lettura, domani ,del com’eravamo oggi, ed è per questo che la crescita urbanistica tumultuosa e scomposta di Guglionesi non può dirsi cultura, bensì culturame.E, venendo ad una seconda complementare matrice culturale rappresentato dal lavoro svolto dai guglionesani residenti all’interno del perimetro urbano ,come pure nelle campagne ,dobbiamo prendere atto come lo stesso sia stato fortemente esternalizzato , trasferito e organizzato e riorganizzato ex novo nelle fabbriche del nucleo industriale o altrove . E’ il progresso , è il mercato, è la nuova cultura industriale un necessario segno dei tempi che viviamo. Resta in paese , a conservare in parte lavorazioni locali ,qualche laboratorio artigianale; troppo poco rispetto alle rosee previsioni di solo pochi decenni fa che prevedevano l’incremento di poli artigianali mai decollati. L’altra matrice portante della nostra”guglionesanità”: il dialetto, che dovrebbe essere il serbatoio più vasto su cui innestare l’Italiano, invece di essere una marcia in più, per tanti ,rappresenta una retromarcia poiché non essendo ( noi ) stati in grado di far crescere economicamente il territorio sviluppando in senso industriale ciò che sapevamo fare meglio, specie in agricoltura. Questa constatazione ,unitamente a tante altre elencabili hanno portato all’attuale diaspora dei guglionesani che non trovano lavoro in paese. Purtroppo, il dialetto in altri ambienti siamo stati costretti a smetterlo ; anzi, per molti, immigrati guglionesani, talvolta si è fatta fatica per ridurre al minimo l’inflessione che influenzain altri ambienti l’italiano corrente. Pertanto , giocoforza,il nostro guglionesano, purtroppo, si avvia a diventare una lingua morta da smettere. E’ culturame la ricca successione delle diverse sagre paesane estive ,con ormai consolidato lancio fuori stagione di lasagne e”scruppelle”: da quelle di lista di” Guglionesi nel cuore” a quella dei Dem, l’una governante l’altra all’opposizione ; da quella del consumo pubblico del vitello arrosto, alla notte bianca. Non abbiamo registrato nelle prime due alcuna impronta politica che desse conto ,nella prima ,dell’azione amministrativa svolta nei primi cento giorni , nella seconda ,dell’azione oppositiva messa in campo nello stesso periodo. Salsicciotti, arrosticini , pizze , birre , vino e cocomeri a go-go… per la gioia delle casse degli organizzatori. Per non parlare del sacrificio di un animale di grossa taglia qual è un vitello (altamente diseducativo per i bambini che si accompagnavano alle famigliole) subito esposto nella pubblica piazza al fuoco lento dell’arrostimento, della rosolatura e,finalmente… dell’atteso consumo , anche qui innaffiato da pinte di birra e vino con l’intento di trasformarlo all’incasso nel” vitello d’oro” di biblica memoria puntando sull’ingorda estemporaneità del popolo banchettante. E’ culturame la notte bianca che espande soprattutto la già attiva costellazione di esercizi pubblici: bar, rosticcerie…sulle limitrofe strade cittadine riversandovi : bevande, birra e altre gradazioni alcoliche mixate ad un ottundente musica invogliante all’ulteriore consumo, finché lo stordimento e lo sfinimento non mette a letto all’alba centinaia di giovani insonni sonnamboli , ritti a stento nel tirare l’alba. E’ culturame la patetica discussione aperta sulla mancata partecipazione dell’opposizione ai festeggiamenti patronali e sulla sostenuta partecipazione dei rappresentanti dell’attuale Amministrazione. Mi vien da dire sconsolato :” S. Adamo, gigante., pensaci tu !”...che da secoli sei stato eletto a padre protettore di questa rissosa comunità ; pensaci tu a conciliare le opposte fazioni politiche che riescono a far diventar diatriba Politica anche uno dei simboli di devozione ancora unitari. Forse che gli elettori della lista di centro-sinistra ,(grandi assentii eletti e candidati ), non hanno partecipato, come quelli di centro destra alle liturgie, processioni ed altre manifestazioni in onore del santo patrono? O ,è solo la stizza per la mancata accensione del cero votivo e la bardatura tricolore da parte del mancato sindaco ad aver fatto disertare le manifestazioni in onore di S. Adamo? E, anche qui sul culturame si potrebbe continuare con tanti altri esempi, ma voglio chiudere in positivo ricordando anche manifestazioni culturali lodevoli quali :il Concerto dell’ Assunta, tenutosi in S, Maria Maggiore , il concerto in piazza di Cinzia Gizz i, la rassegna di film proiettati nottetempo nella suggestiva piazzetta S, Chiara . Le tracce, come si può evincere da questo mio lungo scritto ci sono ancora tutte per recuperare e rendere funzionale alla nostra comunità una cultura che stiamo perdendo e per reinventarne una nuova a passo con i tempi che possa realmente pacificare Guglionesi, perchè possa tornare a sentirsi “UN POPOLO”.

Arcangelo Pretore
5 settembre 2013


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