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CulturaGuglionesi
Pubblicato in data 23/9/2013 ● Click 1614

Progresso e il divino decesso


Mario Vaccaro © FUORI PORTA WEB

Ho trovato seducenti - intellettualmente … ovvio – tre tematiche di recente esposte nel blog. Oltre al virtuale tavolo di discussione, spero ancora aperto, sul tema “cultura”, Di Narzo ha evidenziato la palese eresia di taluni comportamenti dell’attuale sinistra rispetto alla “Parola di Marx”. Per entrambe mi adopererò sulla tastiera, così come mi accingo a fare per l’argomento tirato in ballo da Raspa, ovvero il progresso … implicazioni altre incluse.

Sebbene un luogo comune la dipinga quale inutile e ostica, la filosofia – a cui dovrò ora attingere a piene mani – tale non è affatto … quantomeno non sempre. Ricorro ad essa per beneficiare di quel vero e proprio prodigio a cui solo la cultura può consentire di accedere: in quell’oceano di parole, alimentato da molti secoli di studi compiuti in campo filosofico e letterario, è possibile rinvenire quella molteplicità di universi la cui esistenza la fisica teorica ha matematicamente dimostrato. Chi volesse comprendere il presente – l’interpretazione del mondo è facoltà prerogativa, dunque talento da non sprecare, della sola razza umana – non ha che da cercare lumi tra gli scritti di chi ha prestato il proprio intelletto a tale campo d’indagine.

La chiave interpretativa per scoprire a quale risultato si giunga accostando il concetto di progresso alla società contemporanea è, in chiave metaforica, contenuta nella frase che è un vero e proprio must tra gli imbrattamuri: “Dio è morto”. Essa fornisce l’accesso alla disquisizione con cui Nietzsche, in anticipo d’un secolo e mezzo quasi, giunge a formulare una diagnosi della nostra società: nichilismo … malattia pressoché incurabile.

Orbene, cosa lega il decesso della divinità della civiltà occidentale col concetto di progresso? Tanto per iniziare, sulla relativa concezione v’è letteralmente apposta la Sua firma. Qual è la fonte della cultura alla quale ancora ci abbeveriamo? E’ arcinoto che sia il mondo greco la principale sorgente, ma successivamente confluì un affluente che influenzò parecchio la cultura formatasi sulla matrice della Grecia del periodo classico: dopo aver laicamente consentito la pratica di qualsiasi culto, i Romani – Costantino ne fu la longa manu - intuirono che il Cattolicesimo si prestava, adeguatamente strumentalizzato dal potere, ad essere un efficace meccanismo per il controllo delle masse. Adottata quale religione “di stato”, la sua dottrina andò ad innestarsi sulla preesistente cultura. E su un aspetto fu a dir poco rivoluzionaria: gli uomini, che si autodefinivano mortali in contrapposizione alle divinità del Pantheon, scoprirono d’essere immortali, chè tale era il dono che recava con sé la nuova religione. Dunque è la Chiesa cattolica a propagandare una visione ottimistica del futuro – dal Paradiso perduto alla sua promessa riconquista – potendo il destino dell’umanità essere graficamente rappresentata da una parabola evolutiva … il progresso, per l’appunto.

Per farsi un’idea di quanto tale concezione lineare d’un progresso inarrestabile abbia pervaso la nostra cultura, basti pensare ad alcuni importanti esempi. La scienza – che siamo idealmente usi collocare in antitesi rispetto alla religione – segue il medesimo paradigma: da un passato d’ignoranza si procede verso un crescente grado di conoscenza. Addirittura l’”eretico” Marx utilizzò lo stesso schema: il passato è la schiavitù del proletariato e il presente è la relativa acquisita consapevolezza che condurrà in futuro alla rivoluzione e alla dittatura della classe operaia. Freud a sua volta considerava l’infanzia quale nascita della nevrosi e, in seguito alla diagnosi formulata nel presente, il futuro diventava occasione di guarigione. Noi occidentali siamo dunque intimamente convinti che il progresso sia inarrestabile … ma è davvero così? Nell’attuale società l’individuo vive realmente in condizioni migliori rispetto al passato o – per dirla con una frase fatta – si stava meglio quando si stava peggio?

Eccoci dunque giunti alla morte di Dio e, in corrispondenza a tale simbolico evento, all’alba d’un mondo qualitativamente deteriore. Nelle società del passato – nel teologico mondo medievale in particolar modo – Dio rappresentava il fulcro attorno al quale le stesse ruotavano: se si provasse a privarle del concetto di Dio perderebbero ogni senso, diventerebbero incomprensibili ed incomunicabili. Si può invece prescindere da tale concetto se si intendesse fare un affresco della società moderna … è “denaro” la parola magica che oggi dà senso al tutto e senza la quale essa crollerebbe come un castello di carte. Dunque Dio non ha più la capacità di “creare mondi”, è la tecnica la divinità a cui oggi siamo informati … e, morto Dio, collassa l’ottimismo nel futuro: viene a mancarci lo scopo, manca la risposta al perché delle nostre azioni, ovvero il futuro non retroagisce per motivare le azioni del presente.

Quando una società cede il passo ad una nuova, i vecchi valori tramontano per essere sostituiti da altri: stavolta la nostra società non ne ha generato affatto … ecco dunque il nichilismo. Ciò accade in quanto l’obiettivo che si prepone la moderna società tecnologica non è il miglioramento qualitativo, il progresso, ma quantitativo, ovvero lo sviluppo. La tecnica, infatti, è autoreferenziale, nutre se stessa al di fuori d’ogni logica umana, il suo unico scopo è il miglioramento dell’efficacia produttiva. Un esempio lampante si è avuto in occasione della proliferazione nucleare degli anni ’80: che senso aveva produrre ulteriori testate atomiche quando la centesima parte di quelle già esistenti sarebbero bastate a far esplodere l’intero pianeta? Questo dunque il fine della tecnica, autoalimentarsi servendosi dell’uomo anziché porsi al suo servizio: Nietzsche descriveva l’intera vicenda in termini di “collasso dei valori antropologici”.

E’ pertanto l’uomo – che, Kant diceva, dovrebbe essere un fine – ad essere odiernamente solo un mezzo al servizio della tecnica: Marx aveva ragione, altro che lavoro quale mezzo di affermazione della dignità umana, esso è considerato un mero costo di produzione, alla stregua delle materie prime. Dunque la storia termina qui: non avendo più come scopo il miglioramento della condizione umana essa non ha più come soggetto l’uomo, è la tecnica ad assurgere al ruolo di autentica protagonista. In questi decenni stiamo inoltre assistendo al fallimento della democrazia: la tecnica ci costringe a decidere su questioni incomprensibili (ex: il nucleare, gli organismi geneticamente modificati, ecc.), che richiedono conoscenze specialistiche, dunque le relative opinioni sono frutto di suggestioni, influenzate dalla retorica e non risultato conseguito dalla ragione.
Da ultimo e per completezza d’informazione, va evidenziato che il filosofo tedesco ha ipotizzato l’esistenza d’una possibile via d’uscita … cercatelo, interrogatelo, di certo ve la indicherà.

P.S.: In questi anni siamo indotti alla preoccupazione da una crisi dovuta ad un PIL che non cresce: non c’è sviluppo, ovvero la produzione non aumenta poiché non siamo nelle condizioni di poter consumare una quantità crescente di prodotti. Non riuscire ad arredare la nostra esistenza con un numero di cose\oggetti sempre maggiore sembra frustrarci, e se il PIL non riparte quel meccanismo resta inceppato: il capitalismo postula un’accelerazione continua della produzione e, in corrispondenza, livelli progressivamente maggiori di consumo … non è questa un’utopia al cui confronto la rivoluzione marxista impallidisce? In un celebre discorso nel ’68 Robert Kennedy – poco dopo fu ucciso - dopo aver elencato una lunga serie di cose che questo indicatore del benessere non prende in considerazione, concluse dicendo: “il PIL misura tutto, eccetto ciò che rende la vita degna di essere vissuta”.


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