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CulturaGuglionesi
Pubblicato in data 6/2/2015 ● Click 1406

Il film ‘Philadelphia’, il belcanto e un ricordo di Rodolfo Celletti


Pietro Di Tomaso © FUORI PORTA WEB

Le annotazioni che seguono prendono spunto dalla opportunità di poter vedere nuovamente, questa sera su La7, il film ‘Philadelphia’. Oltre ad apprezzare l’arte interpretativa di Maria Callas in “La mamma morta” dall’Andrea Chénier di Umberto Giordano, è un’occasione per ricordare Rodolfo Celletti, grande critico musicale ed esperto di vocalità.

Ho conosciuto personalmente il maestro Celletti, negli anni da me trascorsi a Milano, per il tramite di un mio amico che studiava canto lirico. Alcune notizie su Rodolfo Celletti (Roma , 13 giugno 1917 – 4 ottobre 2004) si possono leggere su Wikipedia (l’enciclopedia libera). Dopo la laurea in legge alternò l’attività di dirigente d’azienda a quella di critico musicale autodidatta, collaborando a varie riviste e pubblicando saggi, tra cui fondamentale quello sulla storia della vocalità, che costituisce il settimo volume della monumentale Storia dell’opera, edita dalla UTET. Pubblicò diversi libri, tra cui: Le grandi voci (1964), Storia del belcanto (1983), Storia dell’opera italiana (2000). Dal 1980 al 1993 fu Direttore Artistico a Martina Franca del ‘Festival della Valle d’Itria’.
<<Manchino dieci giorni o due a una recita – disse Franco Corelli in una intervista a Rodolfo Celletti (cfr. Rivista ‘Discoteca’, n. 11, giugno 1971) – io non faccio altro che pensare a ciò che avverrà nel momento in cui dovrò eseguire una certa frase, prendere un certo acuto, addolcire una certa nota: nei limiti del possibile, io cerco di predisporre, per ogni problema vocale, più soluzioni. Mi piace variare accenti, colori, inflessioni (…) forse se io non fossi un tenore, avrei una visione più pacata di queste cose. Il tenore, lei lo sa, ha quelle famose due o tre note, in vetta al pentagramma, da cui dipende tutto o quasi tutto, nei rapporti con il pubblico. Sono queste note che, in un certo senso, lo rendono diverso dagli altri cantanti: più applaudito, ma anche più vulnerabile. Ecco il punto. (…) Non si comanda alla voce, come a un piede o una mano. Ho sempre di fronte l’incognita di ciò che avverrà in scena. Perciò il mio pensiero è sempre là… l’unica vera evasione è lo studio. Vocalizzi, vocalizzi e ancora vocalizzi. Ma quando hai finito, il pensiero ritorna là: al personaggio, all’acuto, al pubblico. Entri in teatro e vorresti fuggire. Quando hai finito respiri. Improvvisamente la vita diventa bella>>. Come sottolinea Giulia Grisi, “piacesse o meno Celletti era chiarissimo nell’esprimere la propria opinione. Metafore, mezzi termini, detti e non detti erano assolutamente estranei al suo vocabolario ed al suo modo di scrivere. Gli elogi e le stroncature erano, però, sempre motivati. Motivati dal generalissimo principio che il canto richieda cognizioni di base, come qualsivoglia attività professionale e solo chi ne disponga possa essere prima un professionista ed, in alcuni casi un artista. Nella mente e nello scritto di Rodolfo Celletti artisti non professionisti solidi non potevano esistere. E se esistevano non duravano in carriera”.

<<Celletti – secondo l’opinione del maestro Alberto Zedda, Direttore artistico del ‘Rossini Opera Festival’ di Pesaro – descriveva e teorizzava qualità e artifici vocali sconosciuti ai melomani che frequentavano allora i loggioni dell’universo mondo: trilli d’ogni sorta, di forza, di gorgia, toscani, semplici e rinforzati; messe di voce brevi o interminabili, di sola andata in crescendo o con ritorno al sussurro… passaggi d’agilità mozzafiato… legati morbidi e conturbanti, pianissimi e mezze voci seducenti come carezze notturne (…). Molti pensavano che Celletti descrivesse un paradiso perduto, utopico e nutrito dello stesso struggente rimpianto con cui il poeta dipinge l’Eden dei progenitori (…). Non sono stati i musicologi a rendere possibile questa rivoluzione del gusto: sono stati i maestri e gli artisti che hanno compreso che gli insegnamenti di Rodolfo Celletti non erano nozioni settoriali e personalistiche, bensì il codice per accedere a un linguaggio capace di interpretare il nuovo corso: chi ha saputo metterli in pratica vive l’attualità e anticipa il futuro>>.
Vi piace l’opera? Spero di sì. Il Sovrintendente dell’Opéra di Parigi, già alla guida del Teatro alla Scala di Milano, ha dichiarato (Repubblica, 5 febbraio): <<Da voi non è la crisi economica a svilire l’opera, ma la non volontà di sostenere la cultura>>. Meditiamo su quanto precede.


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