Chi
non ha visto, lungo le nostre autostrade, i manifesti pubblicitari che
evocano la scomparsa di un intero paese di 6.500 abitanti a proposito
delle vittime degli incidenti stradali che avvengono ogni anno in
Italia? Beh, ai molisani quei manifesti fanno sicuramente meno
impressione che al resto degli italiani: il loro Molise, realtà più
burocratica che popolare, sta davvero scomparendo, proprio come il
paesino della pubblicità. E non solo a causa degli incidenti
stradali.
I
dati demografici, riportati anche qualche giorno fa sul nostro
giornale, sono impietosi (fonte ISTAT): nel 2004 per ogni bambino ci
saranno ben 6 anziani; la popolazione, calata nel ’99 dello 0,6%, è
destinata a calare ulteriormente nei prossimi anni; ben 10 comuni
rischiano l’estinzione entro il 2010. Di questo passo le regioni
d’Italia saranno presto 19.
Le
cause: un nuovo fenomeno migratorio verso il Nord del Paese e
l’elevata denatalità. In parole povere: il Molise si svuota perché
in Molise non c’è lavoro e i molisani non fanno più figli. Se si
considera poi che, come diceva Anna Harendt, “nascere è
un’improbabilità infinita”, ma morire è una certezza assoluta
…
Situazione
drammatica. Ma allora? C’è chi si chiede, e con estrema serietà,
se debba poi essere considerata per forza in maniera negativa
l’eventuale scomparsa della nostra regione (si badi: per cause
naturali, o se volete, in seguito ad una sorta di “selezione
naturale”): i molisani superstiti, insieme con il loro piccolo
territorio, potrebbero, convenientemente entrare a far parte della
regione Abruzzo o della regione Puglia, e nessuno ne resterebbe
scandalizzato.
Altri
si domandano invece, con la stessa seria pensosità dei nostri comuni
destini, se quella sorta di “gaio nichilismo” con il quale tanti
politici molisani continuano ad azzuffarsi e a cavillare in vista
della conquista di un potere tanto piccolo (siamo o non siamo, in
termini di votanti, l’equivalente di un quartiere della capitale?) e
tanto fragile (è vero o non è vero che in futuro conteremo
certamente ancora meno?) non costituisca il versante soggettivo e
anche un po’ ingenuo di quel fenomeno demografico oggettivo che sta
lentamente portando alla rovina e allo spopolamento la nostra regione.
Nel loro disperato delirio di onnipotenza molti politici non riescono
più da tempo a vedere la realtà, a distinguere il dato concreto dal
preconcetto ideologico. Anzi: fanno sempre più fatica anche soltanto
a concepire qualsiasi cosa o evento non rientri nella dimensione
onirica del proprio io, gonfio ormai come il rospo della favola ad
occupare tutto l’orizzonte del reale. Quale spazio volete che resti,
nella loro personale (o partitica?) visione del mondo, per il dramma
della nostra gente? Delle fatiche, dei sacrifici, della pseudocultura
che respiriamo ovunque, dell’illiberalità dello Stato accentratore,
dell’incertezza economica, dei sempre più vecchi e dei sempre meno
giovani?
Eh,
già: i giovani. Dopo avere avuto la fortuna di nascere, si convincono
ben presto di averla avuta nel posto sbagliato. Sbucati più in fretta
che possono dal tunnel della scuola, in cui non imparano nulla (perché
proprio il nulla è l’unica proposta educativa perseguita nella
scuola di Stato progressista, veltroniana e multiculturalista del
belpaese) e parcheggiati per qualche anno a suon di milioni in
Università sempre meno all’altezza di questo nome (tra poco ci sarà
un Ateneo per ogni caseggiato), vengono catapultati in un mercato del
lavoro che è diverso anni luce da quello immaginato soltanto quattro
o cinque anni prima. E non trovano lavoro: non hanno maturato
esperienze professionali; sarebbero anche capaci di inventarsi
un’impresa, ma i soldi le banche li usano per altri scopi che non il
bene comune; provano con i megaconcorsi, ma, Morandi docet, “uno su
mille ce la fa”; si lanciano in una prima occupazione pur di non
starsene con le mani in mano, ma spesso è in nero e dura poco;
sbarcano il lunario nei corsi di sedicente “formazione
professionale”: alcuni arrivano a divenirne frequentatori così
abituali, da dar luogo alla nascita di una nuova figura professionale
(il corsista); si spostano per lavori occasionali in lungo e in largo
per la penisola, fino a trovare l’America in qualche serena
cittadina della provincia bergamasca o modenese, non molto
diversamente dai loro coetanei albanesi giunti a migliaia sulle nostre
coste, devastati anche loro (ma sotto una dittatura, quella di tale
Oxa) da una cultura statalista e illiberale che ha elevato
l’apparecchio televisivo a supremo strumento di socialità e di
cultura, vero e proprio altare del nulla imperante. Di fronte al
dramma ci sono, e li conosciamo, non pochi tentativi di resistenza e
di rinascita in atto, che però rischiano di rimanere isolati.
Il
Molise, rinascerà se vorrà rinascere, come realtà non burocratica,
ma di popolo; e certo ciò non avverrà ad opera di una classe
politica, pur integerrima e piena di buoni propositi: la politica
serve semmai a liberare da vincoli di varia natura (naturale, storica,
economica, culturale) le energie positive insite nella società civile
e a valorizzarle per il bene di tutti, affinchè esse, e non le
confraternite o le segreterie dei partiti, possano agire e produrre
liberamente il benessere e lo sviluppo che tutti ci auguriamo:
famiglie, imprese, associazioni. Per noi e per i nostri figli.
Dipendesse dai “soloni” della politica, infatti, si tornerebbe ai
soviet, alle partecipazioni statali o ai piani quinquennali, magari
con nomi diversi e più suadenti. La riedizione di uno statalismo
pervasivo che, utile nell’emergenza del dopoguerra, si è poi
rivelato oppressivo e pernicioso per ogni regione d’Italia:
responsabilità ascrivibile, almeno alla pari, allo scudocrociato e
all’egemonia culturale comunista.
Oggi
dovranno essere i molisani liberi (persone, famiglie, imprese,
associazioni) a divenire protagonisti della loro rinascita, o il
Molise scomparirà, e non avremo di che lamentarci.
Educazione,
impresa, occupazione: ecco le priorità sulle quali concretamente
lavorare. Ecco l’opera comune che ci attende tutti, operai,
imprenditori, politici, insegnanti, professionisti. L’alternativa?
Rassegnarci ad essere i sudditi, litigiosi tra loro ma sottomessi
all’unico principe, dell’ultima provincia del Caos. Liberi
soltanto di scomparire.
Torna
sopra
Fuori
Porta
La proprietà
fotografica e letteraria appartiene ai legittimi proprietari
Web Design: ARS
idea studio