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5/6/2025 ● Eventi
Salone internazionale del Libro 2025, "Anime Fragili"
Matteo Saudino (BarbaSophia)
Autore di Anime Fragili (Einaudi)
Alla presentazione del libro di Matteo sono andato più per curiosità che per
altro.
Lo conoscevo come BarbaSophia, il nome con cui si presenta in rete.
I miei ragazzi lo conoscono, soprattutto Davide che da appassionato di
filosofia, è iscritto al suo canale da diverso tempo.
Io mi aspettavo un giovane sgarrupato sputa-sentenze dal cavallo basso e invece
mi ritrovo un canuto divulgatore che ad oggi, ha oltre 312mila follower sul suo
canale YouTube (quando si dice l’ignoranza…).
Canale dove settimanalmente carica interessanti contenuti che aiutano a
comprendere la contemporaneità, grazie al suo pensiero critico e l’esperienza in
materia.
Infatti da Socrate a Kant, passando per Hegel e Platone e molti altri ancora:
sono stati tantissimi i più grandi pensatori della storia a diventare i
protagonisti del suo canale.
Ma chi è brevemente Matteo Saudino, alias BarbaSophia?
Ha conseguito la laurea in Storia e Filosofia all'Università di Torino, la
stessa città dove da ormai diverso tempo insegna filosofia al liceo Giordano
Bruno e dove è nato nel 1974.
Ha collaborato con l'Università di Torino come docente di Istituzioni politiche
presso la SISS, la Scuola di Specializzazione per la formazione degli
insegnanti.
Matteo si autodefinisce come “un dissidente di coscienza e un militante
attivo nei movimenti per la pace, nelle campagne per ridurre le spese militari e
contrastare la precarizzazione del lavoro e della vita”.
Proprio di recente, per esempio, si è attivato sul suo canale YouTube per
sensibilizzare riguardo alle implicazioni del drammatico conflitto che dallo
scorso ottobre sta sconvolgendo la striscia di Gaza mettendo ancora una volta
gli uni contro gli altri israeliani e palestinesi.
Si considera inoltre, un fervente sostenitore della democrazia partecipativa,
basata sui diritti umani, sulla giustizia sociale e sulla tutela dei beni
comuni, inclusi i diritti delle donne, degli uomini, dei bambini e degli
animali.
“Mi oppongo alla trasformazione neoliberalista della scuola italiana in una
struttura aziendale gerarchica, in cui gli studenti vengono rapidamente ridotti
a clienti-merce al servizio del mercato e della finanza”.
Il suo principale obiettivo è costruire un sistema educativo in grado di mettere
al centro gli esseri umani e la loro emancipazione personale e collettiva e che
dovrebbe, almeno in linea teorica, mettere fine una volta e per tutte alle
disparità e alle discriminazioni.
Negli ultimi anni, infine, ha partecipato regolarmente a importanti festival in
veste di ospite e ha tenuto diverse conferenze e seminari di filosofia in tutta
Italia.
Qui al SalTo 2025 presenta il suo ultimo libro “Anime fragili” coadiuvato da
Armando Buonaiuto.
Un viaggio con Platone e Aristotele nelle vulnerabilità del nostro tempo.
“Il nostro è un tempo con poche certezze e tante cose che non funzionano più.
Ma in un mondo in continuo mutamento, la filosofia, a scuola e nella vita, resta
uno strumento di comprensione indispensabile e affascinante. Platone e
Aristotele, i due massimi pensatori dell’antichità, possono aiutarci ad
affrontare le paure e le vulnerabilità dell’epoca in cui viviamo”.
Nel Novecento abbiamo assistito a grandi avvenimenti.
Uno importante è stato sicuramente la nascita delle democrazie e delle libertà.
Valori che diamo per scontato e che per questo sono ormai regressive.
Oggi non ci sentiamo più battere il cuore per la democrazia e questo è un grande
problema.
Altro grande accadimento è stato il socialismo nel Novecento.
Miliardi di persone hanno creduto, hanno lottato, hanno sofferto, hanno amato,
hanno tradito per ideali grandi, come il “Sol dell’avvenire”.
Oggi, il socialismo ha avuto una crisi storica, reale, si è autodistrutto.
Rimane in poche persone e non scalda più il cuore di gran parte dell'umanità
come in origine.
La scienza invece, intesa come tecnocrazia, migliora sempre di più le nostre
vite. La tecnologia come orizzonte e come paradiso in terra.
Ma la tecnologia era ed è un Dio debole, che non può dare un senso alla vita
perché non è indirizzata nel senso dell'umanità.
Il libro parte da qui, queste fragilità sono figlie di un’epoca in cui noi
percepiamo il freddo che lascia la “morte di Dio” e il nichilismo che ci
circonda.
Osserviamo come il mondo moderno crea e distrugge in brevissimo tempo i vari
“Vitelli d’oro”, nella disperata speranza di dare un senso alla vita.
“Partite di calcio, anche dieci in contemporanea, come piccole certezze che
danno una sorta di cadenzialità alla nostra vita e scandiscono il tempo in ogni
ora del giorno.
Oppure il capitalismo rapidissimo che fa sì che in 24 ore ti arrivi a casa un
prodotto.
Inizialmente era meraviglioso, pazzesco che anche nel mio piccolo paesino,
arrivasse il prodotto acquistato anche di domenica.
Il capitalismo promette ed esaudisce bassi desideri che a lungo andare però, non
ci danno più soddisfazione.
Anzi, ci troviamo immersi in merci che possono arrivare a qualunque ora del
giorno, però in noi rimangono solitudine, assenza di relazione e paura per il
futuro.
Scopriamo così che anche quest'ultimo grande vitello d'oro creato, non ci dà il
senso alla vita e noi stessi lo percepiamo come un'onda di decadenza, un
artifizio putrefatto.
Immaginare che in un cellulare iPhone o nelle merci che ti arrivano sempre più
veloci, a prezzo sempre più basso, ci possa essere il senso della vita è
un'illusione che paghiamo e pagheremo veramente, a caro prezzo.
Per questo bisogna guardare le nostre fragilità.
Se non le guardiamo, rischiamo di mettere dei cerotti su quelle fragilità che in
realtà non sono curativi, quindi i cerotti andranno a dilatare le nostre
fragilità.
La fragilità che Matteo mappa in questo libro è molto vasta. Sono sei fragilità,
dalla solitudine alla mancanza di dialogo, dalla difficoltà di reperire una
verità sulla quale basarsi, fino alla paura e all’esperienza della morte”.
È interessante che Matteo abbia scelto di cominciare questa grande analisi delle
cose che corrodono un po' la nostra vita, partendo da una cosa piccola che viene
dalla sua sfera privata e familiare.
La storia di suo nonno e sua nonna, i loro amarsi e i loro essere partigiani.
“Il senso della vita va costruito, va cercato, e costruito. La vita non ha
senso, bisogna crearselo.
Biologicamente siamo simili agli animali che cercano un equilibrio, uno stare
bene, il benessere.
Ma siamo anche esseri pensanti con un'anima e ciò ci porta a farci delle domande
e dunque porta anche desideri, porta paure e soddisfazione.
Ci sono tempi in cui, per tanti motivi, con più facilità riesci a produrre il
senso.
Mio nonno, da partigiano braccato, si rifugiò in una cascina dove conobbe una
ragazza che divenne poi sua moglie.
C’era l'Italia da liberare e quell'Italia lì, che era da ricostruire, aveva
dentro di sé una possibilità di senso”.
Ricostruire, perché la democrazia è sempre una cosa nuova.
“Mia nonna, che ancora vive, 103 anni, racconta di come fu emozionante andare
a votare per la prima volta e per tanti decenni quell'emozione se l’è portata
dietro, perché era una novità, era chiaro, era ricostruire una famiglia”.
Matteo affronta in questo libro anche quelli che lui chiamo i “sostituti di DIO”
che sono moltissimi come i partiti, i sindacati e la solidarietà nel mondo del
lavoro.
“Oggi questo mondo del lavoro l'hanno talmente distrutto che quando c'è una
crisi in un luogo di lavoro, ognuno pensa a salvare sé stesso. Perché 40 anni di
narrazione individualista, dicendo che ognuno trova il senso del vivere in sé
stesso, è stato un inganno. L'idea di vivere da solo, salvarsi da solo, che la
vita fosse in altra partita, il mio lavoro, il mio stipendio, i miei voti, a me
fa letteralmente schifo.
Però è stata una vita narrata da molti, da molti in televisione, da uomini che
insegnano come avere successo nel corso della vita.
L’io è aridità, è nel noi che c’è la vera ricchezza e la libertà.
L'incontro dell’io con il tu, è la relazione che dà il senso della vita. È nella
relazione che c'è l'insegnamento, del maestro all’allievo”.
E allora, l’idea del libro è attraversare tutte le fragilità in compagnia dei
due più grandi padri del pensiero filosofico greco, romano, cristiano, e poi
umanistico e rinascimentale.
Cioè i due padri dell'Occidente per cui si poteva essere platonici e
aristotelici, dalla culla alla tomba.
Se sei platonico hai un'idea di vita e di morte, hai un'idea di arte, di
politica, di verità, di scienza, se sei aristotelico lo stesso, sai spiegare
l'universo, come funziona l'anima, come si riproducono gli animali, che cos'è
l'amicizia e che cos'è la politica. Aristotele e Platone sono due
anti-nichilisti, forse perché il nichilismo lo avevano già capito, il nulla lo
avevano già percepito, e loro hanno costruito delle filosofie forti.
“Allora, dopo aver presentato le fragilità, chiedo a Platone se ha qualche
consiglio politico da darci e a Aristotele se ha qualche consiglio da darci per
quanto riguarda la tecnologia.
Li ho reinterrogati alla luce della mente del nostro mondo”.
Le domande dal pubblico sono indirizzate a far sì che l’autore spieghi meglio le
fragilità che derivano dalla mancanza di dialogo e di confronto.
“Quanto dialogo instauriamo con noi stessi per riconoscerci? Abbiamo tempo?
Abbiamo tempo per dubitare, ad esempio, di tante cose della nostra esistenza?
No, perché la vita ha un ritmo veramente esasperato. La velocità è la categoria
del nostro tempo. Tutto veloce, il lavoro, il curriculum, i programmi
scolastici, i film che guardiamo, una serie in più perché appena finite già ci
consigliano l'altra da cominciare, Saltiamo le sigle, andiamo su tutto veloce,
veloci gli appuntamenti e nella stessa giornata ne incastriamo 400. La velocità
può essere comunicazione ma non è dialogo. Anzi, uccide il dialogo”.
Matteo è un insegnante e lamenta che anche in quell’ambito la tecnologia
diminuisce il dialogo.
“I colloqui online durano 5 minuti, i voti delle interrogazioni non dati al
momento. “…te lo scrivo oggi sul registro elettronico” e magari passa una
settimana o quattro giorni e non sai dove e come hai sbagliato”.
La discussione inesorabilmente arriva al tema dei social.
“Chiaramente per chi è nato dentro questa epoca, comunicare è comunicare
attraverso social, è comunicare attraverso il telefono. Però quel comunicare non
è prettamente dialogo, perché dialogare richiede ancora un occhio, uno sguardo,
un odore, un rumore, una pausa, un sonno…sotto i post, noi non dialoghiamo,
mettiamo cuoricini, alziamo i pollici, e poi cosa facciamo? Frasi assertori, mi
piace tantissimo, oppure tutti gli insulti.
Non c'è mai un dialogo sotto i post, e quando inizia qualcuno a dialogare,
arriva qualcun’altro che interrompe il dialogo perché arriva subito con delle
sentenze.
Dunque, il mezzo non è neutro, non è un mezzo prettamente di dialogo.
Il mezzo social, e il tempo vissuto sui social, non è ovviamente il tempo di
dialogo.
Aggiungo che ormai abbiamo i licenziamenti fatti spesso via mail.
Quindi non esiste dialogo neppure tra imprenditori e dipendenti.
La tecnologia in questo caso, ti porta anche a non guardare negli occhi l'altra
persona.
Così avviene che ragazzi e ragazze si lasciano, ma anche adulti, con un
messaggino, una mail”.
Un libro, anche questo, da acquistare, leggere e meditare.