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4/8/2025 ● Foto
Il calore del Belvedere
Era una di quelle giornate d’estate in cui il cielo si fa più vasto del solito e la luce del tramonto si posa dolcemente sulle colline dorate.
Il belvedere, silenzioso custode di un panorama mozzafiato, respirava quiete e calore. Le pietre del marciapiede conservavano ancora il tepore del sole, come una coperta stesa per accogliere chi avesse bisogno di riposo.
Lì, accanto alla ringhiera che separa la strada dal cielo, un branco di cani aveva trovato rifugio. Non c’erano cucce né ciotole, solo affetto silenzioso e la bellezza della semplicità. Al centro, un grande cane dal pelo bianco, folto e arruffato, sembrava il guardiano di quella piccola famiglia improvvisata. Gli altri gli si erano accoccolati accanto: uno con il muso sulla sua zampa, un altro rannicchiato sul fianco, come a cercare conforto nel suo respiro lento e profondo.
Un sacchetto azzurro di plastica giaceva tra loro, dimenticato dal mondo ma ignorato da chi aveva compreso cosa conta davvero. La scena era così tenera, così umanamente sincera, che chiunque passasse di lì rallentava senza accorgersene. Persino il ronzio distratto del traffico sembrava svanire davanti a quella pace fatta di occhi chiusi, pellicce intrecciate e fiducia muta.
Era l’estate del belvedere, un’estate in cui il calore non veniva solo dal sole, ma da quel senso di appartenenza senza parole. In un angolo dimenticato della strada, tra sassi levigati, cordoli danneggiati e ferro battuto, la tenerezza aveva trovato casa. Non servivano parole, bastavano i corpi vicini, i respiri sincronizzati e la promessa silenziosa di proteggersi a vicenda.
Per chi li osservava, quei cani erano più che randagi. Erano custodi di un messaggio semplice e potente: a volte, il calore che cerchiamo si trova nel luogo più inaspettato, e l’amore, quello vero, non ha bisogno di niente se non di presenza.