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18/8/2025 ● Eventi
Tante storie in una bella Storia
Giambattista Masciotta – kalendino e intellettuale di razza; ricamatore di
storia; di genetica umana, culturale, politica; autore dei quatto poderosi
Volumi analitici sui 136 Comuni del Molise - fu anche Potestà fascista a
Guardialfiera dal 1929 al 1933. Per effetto di questo mandato, realizzò
l’elegante e comoda scalea che, dal diroccato Episcopio, s’innalza deliziosa
verso la Cattedrale. Ma, ahimè, nel passato non venne sufficientemente
amministiato dal popolo, per una sua omerica implorazione cantata nel 1887 alla
Musa Caména, perché gli fosse “larga dispensiera di cetra, e di soavi pensieri;
e per sciogliere, così, un Inno a Guardialfiera, al cielo, al clima, al vasto
panorama, ai suoi superbi ruderi”. Sennonché la sua poetica, scivola
d’improvviso a bassa quota e, con disgustoso gergo, così beffeggia l’Arciprete
Caluori ”per un maial messo a dormir in la magion di Dio” (cioè, nella Casa del
Signore) e per l’allusione a “l’incrocio di tre travi d’asciutto legno, che
appesevi di bronzo son le tre campane” (quelle recuperate dal vecchio campanile
fatiscente, e abbattuto a metà del XIX secolo).
In quel 1887 - l’anno del “Carme” - don Donato è giovane sacerdote
ventisettenne. Diventerà Vicario Foraneo nella Diocesi, Canonico Onorario,
Parroco e Arciprete a Guardialfiera, per 70 anni. Ma - seppur fortemente
indiziato di santità - viene infastidito dal “poetico sarcasmo”. E’ avvilito, ma
non impazzito. Non si arrende; ne raccoglie la provocazione e la capovolge in
positività. Se ne fa ragion di vita. Si racconta che - in un quaresimale – egli
irruppe così: “Non avrei, forse, mai innalzato il campanile, senza l’ossatura di
un volgare sfottò”.
Incarica, dunque, l’architetto Vittorio Romanelli di Napoli per l’ideazione
d’una ardita torre Campanaria. Elegge Direttore dei lavori Vincenzo Bucci e
“capomastro” Francesco Trolio. Ed è subito slancio, sussulto nella estrazione e
lavorazione di pietre dentro le nostre Cave a “Valle Cupa”. Un gareggiar di
manovali e scalpellini, lì, a squarciare pareti e a sagomare blocchi,
avvalendosi solo degli strumenti rudimentali di allora. Chi mai avrebbe sognato
la motorizzazione. Anche le prime grù e lr altre piattaforme di sollevamento,
approdano qui sul finir degli anni ’40. Sicché la caterva di materiale decorato,
è trasferito in paese, per lunghi anni e per tredici kilometri di carrareccia,
soltanto a dorso di resistenti muli martinesi. E, dal sagrato del tempio, i
“belegnini” (= i massi di pietra) vengono tirati su a mano attraverso il
“mangano”. Immaginiamoci i volteggi per il sollevamento con “la ruocela” della
Croce di ferro. Che favola!
E poi coraggio, tradimenti, gelosìe, latitanza. Avversità da pare del potere
politico. E azioni giudiziarie, fiaccano – più tardi - l’entusiasmo
dell’Arciprete. Sciaguratamente, il 24 maggio, scoppia persino la prima Guerra
Mondiale. Sicché i giovani operai del Campanile, nel 1915 partono per il fronte,
corazzati dallo Scapolare imposto loro dal Sacerdote.
Ma, come per magìa, il “capolavoro”, nel 1925, è completo! Immortalato dalla
pietra bianca nostra da taglio, squadrata, scalpellata, trapuntata, come su un
raso di seta, e unicizzato alla picchiettatura: tipica espressione artigianale e
artistica guardiense.
Campanile snello, altissimo, imponente, ridente, a cuspide piramidale che, a mo’
di freccia, punta il vertice verso l’immensità dei Cieli. Ora si riflette anche
nella conca azzurra del Lago, vivacizzato dal lungo viadotto della Bifernina e
dal rosario di 113 piloni che spuntano, per 5 km. da acque profonde.
Altro che il satirico cantico del Masciotta! Al quale, per l’avvenuta
riconciliazione col Parroco e per un gesto di alto sapore “campanilistico”, Il
13 agosto 1932, sul sagrato del tempio, esattamente sul luogo delle “tre travi
da’asciutto legno”, gli verrà conferita la medaglia d’ora, istituita dal Duce,
per i Potestà meritevoli.
Intelligente e diffidente e in un eccesso di autostima, fa incidere su una
lastra di “pietra noce” e la incastra sul lato occidentale della torre il
seguente epitaffio:
“Donatus Arc. Caluori, qui hanc Sacram Turrim aere suo et populi auxilio,
funditus erexit. A.D. 1925, ne memoriam peruit.
A Cento anni dalla realizzazione, con patrio fervore Vincenzo Tozzi, Sindaco
della Città, ne dispone il “recordatio – condiviso da S. E. mons. Claudio Palumbo,
l’amabile Ordinario Diocesano, il quale presiederà la solenne Celebrazione
Eucaristica in Cattedrale martedì 19 alle h. 18, assieme a Padre Ambu, Parroco
della Comunità.
Affiora i questa occasione il coraggio di educare, l’urgenza di dialogare e lo
sforzo di annunciare un passato che non è passato ed essere cristiani di oggi
vivendo la stessa fede di don Caluori che rimane sempre un dono ricevuto e un
dono da praticare.