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		6/11/2008 ● Cultura
4 novembre 1918, il significato di una celebrazione
 Filippo Salvatore ● 1982
  Filippo Salvatore ● 1982 
        
        È quasi l'alba. Oggi è il 
4 novembre 2008. Gli aceri sono coperti di un manto di foglie gialle e rosse. 
L'erba è coperta di brina che brilla ai primi raggi del sole. Sta per iniziare 
il lungo inverno canadese. Sono tornato a Montreal quattro giorni fa dopo in 
giro di conferenze, una a Gorizia. Non ho ancora smaltito il fuso orario ed ho 
difficoltà a dormire. Mi giro e mi rigiro nel letto. Nel dormiveglia due 
immagini mi martellano la mente, il fiume Isonzo e le vette delle Alpi Giulie e 
Carniche oggi in territorio sloveno.Mi hanno fatto da guida nella scoperta della 
Venezia Giulia cari amici goriziani che conoscono come il palmo della mano il 
territorio che stiamo visitando e che nonimano in sloveno ed in italiano.Ed odo 
nomi come Pasubio, Sei Busi, S.Elia, Redipuglia. Sono nomi che hanno una eco 
familiare, nomi che avevo sentito nominare da mio nonno durante la mia infanzia, 
seduti davanti al camino, nelle serate d' inverno bevendo un sorso di 
montepulciano novello, ancora asprigno, e mangiando castagne che scottavano le 
dita.
É la tra l'Isonzo ed il Carso, su un pendio scosceso e roccioso, che un giovane 
di 19 anni, mio nonno, di cui porto con orgoglio lo stesso nome e cognome, fante 
del reale esercito italiano, è stato ferito ad una spalla da un mitragliere 
austriaco. Era tornato in Italia dal Canada, dove era emigrato a 16 anni, per 
amor di patria con altre centinaia di giovani, che avevano preso il ‘Treno degli 
Italiani' da Vancouver a Montreal da dove si erano imbarcati per l'Europa. 
Arruolatosi come volontario nel 1917 mio nonno è stato fatto uscire, stordito 
dall'alcol, dalla trincea il 27 ottobre 1918 verso le nove di mattina e dare l' 
assalto. E sento di nuovo la descrizione che mio nonno, ormai vecchio, faceva 
della battaglia a cui aveva partecipato.
‘Esplosioni, grida di dolore e di rabbia, odore nauseante di zolfo e di gas, 
spari, schegge di pietra, ed il tatatata del nastro di proiettili della 
mitragialtrice e corpi che si accasciavano feriti o morti al suolo, lo squillo 
di una tromba, baionette rosse di sangue e poi il tricolore che sventolava al 
vento. Poi, più niente ed al risveglio in ospedale un dolore lancinante alla 
spalla sinistra.'
Per fortuna la pollottola non aveva colpito l'osso e mio nonno non rimase 
invalido. Così ho imparato, di viva voce di chi la guerra l'aveva fatta 
veramente, come la Patria italiana avevatanto sofferto ed era riuscita a vincere 
la Grande Guerra. Poi, a scuola, ho letto le gesta di Baracca, Battisti, Sauro,Toti, 
D'Annunzio ed ho imparato a memoria le parole della Leggenda del Piave, 
insegnatemi da un professore reduce del fronte russo. E poi ho visto il film La 
Grande Guerra di Mario Monicelli e la dissacrazione del mio schietto 
patriottismo di fanciullo fatta da un altro regista Francesco Rosi in Uomini 
Contro. E nello scrivere queste parole mi chiedo quale chiave di lettura usare 
per evitare l'agiografia, per far sì che la storia diventi concretamente 
magistra vitae.
Sono trascorsi esattamente 90 anni, ma il significato di quel lontano 4 novembre 
1918, che ha permesso a Trento ed a Trieste di diventare parte della Patria 
italiana, resta intatto. Anzi dovrebbe costituire al giorno d'oggi, in un'Italia 
sempre più multietnica e bersaglio di mire secessionistiche, la fonte di un sano 
patriottismo e la base di una memoria collettiva condivisa.
La vittoria italiana del 1918 è costata un prezzo altissimo, oltre 600.000 morti 
ed un milione di feriti. Ogni regione d'Italia ha dato il suo contributo alla 
causa comune, il bene della Patria e la definitiva unificazione di ogni sua 
parte. L'Italia à diventata grazie al sacrificio della vita di tanti suoi figli 
veramente la Patria di tutti come le lapidi ai caduti in ogni singolo centro 
eloquentemente dichiarano o come rivela lo schietto amore verso la Patria 
italiana di tanti abitanti di città di confine come Gorizia o Trieste.
Accanto al 25 aprile ed al 2 giugno, due date fondamentali per l'Italia 
repubblicana, va celebrato ancora di più, secondo il mio modesto parere, il 4 
novembre, perchè ogni cittadino italiano, ovunque egli viva nel mondo, può 
riconoscersi nel significato storico e simbolico che questa data esprime. Il 
tatticismo e militarismo astratto del generale Cadorna causò inutilmente la 
morte di tantissimi giovani e portò al disastro di Caporetto. Tuttavia la 
controffensiva dell'esercito italiano, partita dal Piave il 24 maggio 1917 e 
conclusasi il 4 novembre del 1918 sotto il comando del generale Diaz, ha seguito 
una logica militare diversa e saputo far emergere l'amore per la Patria anche 
nel semplice soldato. Ed ha portato, con l'aiuto degli alleati americani, alla 
vittoria.
Delle tre feste nazionali il 4 novembre è, a mio avviso, la data che va 
meritatamente celebrata, perchè è la celebrazione di una pagina fondamentale 
della creazione dell' identità del popolo italiano, della nascita della sua 
memoria storica condivisibile, al di là delle simpatie ideologiche e politiche. 
E l'Italia di oggi che si avvia verso una forma decentrata di governo, verso uno 
stato federale, eviterà le sabbie mobili del secessionismo presente nelle 
finalità della Lega Nord solo se date come il 4 novembre verranno celebrate 
degnamente. Il suolo delle regioni di quella che dovrebbe eventualmente 
diventare la Padania, va ricordato continuamente a Bossi ed ai leghisti, è 
intriso di tanto sangue italiano.Gli egoismi regionali e le accuse verso ‘Roma 
ladrona' vanno soppesate con il prezzo del sangue versato. Al senatur Bossi 
consiglio di fare di tanto in tanto una visita all'Altare della Patria e di 
meditare davanti alla tomba del Milite Ignoto.E forse capirà che anche Alberto 
da Giussano era italiano.
Filippo SALVATORE, Concordia University, Montreal | Newitaliapress
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