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21/1/2009 ● Politica
Il rapporto tra politica e verità
Cloridano Bellocchio ● 1499
Caro Direttore, in
tempi di "crisi acuta" della politica, nell’orizzonte della quale tornano ad
addensarsi le domande di sempre: “che fare?” "per chi e per che cosa?", ci
accorgiamo quanto sia difficile trovare risposte adeguate e comunicabili e,
quindi, convincenti. Questa difficoltà è, innanzitutto, difficoltà (incapacità?)
delle classi dirigenti. Coloro che decidono, per varie ragioni, di farsi carico
delle domande ma mostrano affanno nell’elaborare le risposte adeguate. Da qui la
crisi della politica come crisi di rappresentanza. Espressione del distacco/separatezza
tra rappresentanti e rappresentati, partiti ed elettori, partiti ed iscritti,
ecc. Che rischia di tradursi semplicemente in crisi di sistema.
Le ragioni del verificarsi di tutto questo sono molteplici e complicate. Tutte
più o meno riconducibile al tempo che trascorre e porta con sé cambiamenti che
rendono superate vecchie culture, antiche certezze, categorie interpretative del
presente, i disegni per il futuro desiderabile o più desiderabile. Tutto questo
ci parla della necessità di operare un rinnovamento profondo che deve
attraversare gli individui, le forme organizzative e le ‘vecchie narrazioni’ che
hanno mosso le persone per un periodo lungo di oltre un secolo. Ma, visto lo
stile ed i contenuti che muovono la dialettica politica nel nostro comune, credo
sia attuale la domanda: è possibile muovere verso questo cambiamento se la
politica non ristabilisce un rapporto corretto con la verità, come perseguimento
del bene comune?
Il rapporto tra politica e verità. Mi schiero subito. Sono convinto del fatto
che quando la politica dimentica o si allontana dalla verità la vittima è la
democrazia e, quindi, la qualità dei rapporti sociali. E, soprattutto, il
sistema di garanzia per i diritti degli ultimi. Degli indifesi. Di quelli che
non hanno risorse altre da mettere in campo. Ovviamente so benissimo che non
tutti la pensano così. Anzi. Numerosi hanno sostenuto che i politici per ragioni
connesse al ruolo si trovano costretti a mentire. Giungendo,così, a giustificare
la compatibilità tra menzogna e politica. Sul rapporto tra politica e verità
l’indagine ha attraversato un arco plurisecolare. Correndo il rischio della
schematizzazione, credo si possa senz’altro affermare che nella cultura
occidentale si sono fronteggiati due punti di vista.
Il primo, che ha reputato come fatto positivo l’uso della menzogna in politica.
Da utilizzare, da parte dei "reggitori" del potere come "(...) farmaco per il
bene della città" [Platone]. O finalizzata al mantenimento del potere da
parte di colui che governa, il quale deve esercitare la virtù individuata come:
"(...) abilità di simulare e dissimulare, di unire l’astuzia alla forza"
[Machiavelli].
Il secondo punto di vista che, per contro, ha ritenuto la menzogna sempre e
comunque negativa. In primis i padri della Chiesa. Per Tommaso D’Aquino,
riprendendo le argomentazioni di Agostino, "(...) il bene presuppone il vero
e la menzogna è un peccato contro la verità" [Tomaso D'Aquino]. Tommaso
aggiunge che anche la simulazione, l’ipocrisia, la millanteria e l’ironia, in
quanto forme di non sincerità sono, comunque, da evitare.
A seguire tra i filosofi moderni. Ugo Grozio e Kant, per citarne alcuni, hanno
bandito la pratica della menzogna a fini politici: "(...) la menzogna lede
sempre e comunque il diritto alla conoscenza di colui al quale sono diretti
parole o segni. Per cui occorre una 'mutua obbligazione al vero" [Grozio].
Per Kant, la verità è un dovere incondizionato di fronte a tutta l’umanità,
mentre la menzogna è una rovina per l’intera società e per le sue stesse
fondamenta: chi mente abolisce la società. Dunque, "(...) mentire non è mai
lecito e se anche l’interlocutore fosse indegno della verità, nel mentirgli non
commetterei solo un’ingiustizia verso di lui, ma agirei 'contro i diritti
dell’umanità' intera" [Kant].
In epoca contemporanea Hannah Arendt ha inteso introdurre una distinzione tra:
verità di fatto e verità secondo ragione. Ma in maniera illuminante ci dice che
la verità di fatto è 'politica per natura'. Perché riguarda "(...) eventi e
circostanze in cui sono coinvolti in molti, è stabilita da testimoni e conta
sulla testimonianza". Però "(...) il rispetto per la verità di fatto
viene percepito come un’attitudine antipolitica. L’abitudine a dire la verità
non è mai stata annoverata fra le virtù politiche, e le bugie sono sempre state
considerate strumenti giustificabili negli affari politici". Ciononostante
"(...) la menzogna finisce in realtà per mostrare, prima o poi, il suo
impatto distruttivo sulla politica, che si realizza massimamente nei regimi
totalitari" [Arendt].
Infine, Norberto Bobbio ci dice che "(...) anche la democrazia, se si fonda
sull’idea di una verità inconoscibile, può degenerare in totalitarismo. La
verità costituisce, pertanto, l’essenza irriducibile della politicità, il cui
carattere plurale e molteplice ne garantisce l’accesso. Chi non crede nella
verità – afferma Norberto Bobbio – sarà sempre tentato, soprattutto in
politica, di 'rimettere ogni decisione alla forza'" [Bobbio]. Ed aggiungerei
io alla mistificazione, alla menzogna alla delegittimazione dell’avversario
ridotto a nemico assoluto.
Mi rendo conto che a questo discorso potrebbero essere opposte alcune obiezioni.
Propongo loro di attenersi alle verità di fatto, nel senso indicato dalla Arendt. Sforzandosi, per quanto possibile, di eliminare la dietrologia o gli ‘idola’.
Ed utilizzando sempre la categoria del “bene comune”.
Cosa significa tutto questo per la politica locale? Non voglio tornare sulle questioni sollevate da “È morta la politica...”. Ma per farla risorgere, a mio avviso, occorre ri-creare un
contesto culturale e relazionale dove è possibile un impegno civile. Dove la
battaglia diventa per le idee e non contro le persone. Dove il giudizio si nutre
di una conoscenza della realtà, delle possibilità reali offerte, delle priorità
obiettive. E, finalmente, di una critica circostanziata ed onesta dell’operato
svolto. Rifiutando di lasciarsi suggestionare da modelli massimalisti della
serie “voglio… tutto e subito”, tardo-ideologici del tipo “non è importante
cosa si fa, ma chi lo fa”, familistici in base al “cosa ha fatto il Comune per
me? o mistificatori “ tanto tutti rubano!”
Si chiede troppo? Spero di no.
P.s.: ancora una volta, volutamente, non ho
parlato direttamente dell’amministrazione comunale o se si preferisce della
maggioranza. E non perchè ho cambiato casacca.
A dire il vero non sto parlando neanche della opposizione o se si preferisce
della minoranza. Al manicheismo facilone di chi vorrebbe ‘imprigionarci’ in un
mondo immaginifico spezzato in due: o Bianco o Nero? Rispondo che preferisco
confrontarmi con la realtà cercando, come ho sempre cercato di fare, di
migliorarla per quanto possibile. In questo i "compagni" di avventura sono
sempre ben accolti. Ovviamente se sono disposti ad usare il principio di verità
nella politica.
