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		13/7/2010 ● Cultura
Il federalismo fiscale e la "Questione Meridionale"
  Filippo Salvatore ● 1986 
        
        Il federalismo fiscale con 
la conseguente moralità pubblica è, con la difesa della libertà di stampa, uno 
dei grandi temi alla ribalta durante l’estate del 2010 in Italia. Nella 
Finanziaria 2011 il ministro dell’economia Giulio Tremonti ha previsto tagli 
alle Regioni per un ammontare pari a 4 miliardi di euro. Malgrado le proteste, 
lo scontro con il Governo centrale continua. L’esecutivo tira dritto, lasciando 
inalterato il budget e rende solo più flessibili le riduzioni e premia le 
autonomie virtuose, ossia le regioni amministrate efficientemente. Il Governo 
insiste coi tagli e si prepara a porre la fiducia sulla Manovra. Dal braccio di 
ferro Roma-Regioni saranno limati i numeri ma il grosso dei risparmi si farà 
proprio sui trasferimenti ai comuni e alle regioni. Con riferimento al 2009 la 
spesa consolidata per le amministrazioni regionali è stata di 799 miliardi di 
euro, e di 255 miliardi di euro, spesa non consolidata, per le amministrazioni 
locali. 
Una piccola regione come il Molise, al limite del collasso per via dei debiti 
della sanità e per le arretratezze del suo sistema produttivo, rischia di non 
reggere più e di scomparire E non sarebbe un male, perché venti regioni sono 
troppe come faceva notare la Fondazione Agnelli negli anni ‘90 che proponeva di 
ridurle a dodici. Personalmente sono convinto che le Regioni, o compartimenti, 
dovrebbero essere solo otto con una popolazione media di 6-7 milioni, ad 
eccezione della Sardegna. 
Con la grave crisi economica , sono inevitabilmente venuti al pettine i nodi che 
si trascinano da decenni, sul mancato riordino istituzionale, su un prodotto 
interno lordo che vive per lo più di spesa pubblica, sull’inadeguatezza di una 
intera classe dirigente. Servirebbero amministrazioni efficienti, 
semplificazione burocratica, eliminazione di enti sub-regionali, accorpamento di 
consorzi, unioni di comuni, incentivi alle imprese private alternative 
all’indotto della pubblica amministrazione, costi istituzionali minori e 
maggiori dotazioni per i servizi essenziali e per la produzione di ricchezza. 
Questa è la diagnosi per la Regione Molise, ma il discorso si applica anche alle 
altre regioni del Mezzogiorno d’Italia. 
Si riuscirà a trovare in tempi brevi una cura ad un corpo politico invaso da 
metastasi? É il male della cattiva amministrazione, della mala sanità, del 
clientelismo, veramente inguaribile? Un indizio significativo lo conferma. 
All’inizio di luglio 2010 il ministro Giulio Tremonti ha attaccato le 
istituzioni regionali meridionali che hanno diritto ad ingenti fondi europei, ma 
poi non li spendono. Per il Sud c’è stato uno stanziamento nell’ambito del 
programma comunitario 2007-2013 pari a 44 miliardi di euro dei quali ne sono 
stati usati solo 3,5. Un vero scandalo. «Mentre cresceva la protesta contro i 
tagli subiti, aumentavano i capitali non usati - ha evidenziato il ministro -. 
Più il Sud declinava, più i fondi salivano. Questa cosa è di una gravità 
inaccettabile». E la colpa - ha aggiunto - «non è dell’Europa, dei governi di 
destra o di sinistra, ma è colpa della cialtroneria di chi prende i soldi e non 
li spende... non si può continuare con questa gente che sa solo protestare ma 
non sa fare gli interessi dei cittadini». 
Il ministro Tremonti ha posto un problema fondamentale per la nascente Italia 
federale.. Non è sbagliato parlare di "cialtroneria", anche se occorre non 
generalizzare: certamente la parcellizzazione delle risorse in mille rivoli, la 
mancanza di una progettazione affidabile, la lentezza della macchina degli 
investimenti, lo spostamento di fondi su obiettivi tutt'altro che prioritari, 
l'uso clientelare di molte somme, non sono atteggiamenti seri.Questi 
atteggiamenti sono diffusi, però, anche in molti ministeri e aziende dello Stato 
nazionale che incontrano le stesse difficoltà.
É necessario allora rilanciare una politica nazionale che dia direttive chiare 
sulle soluzioni da percorrere per superare questa impasse amministrativa 
generalizzata. Si individueranno così le soluzioni e si smaschereranno i 
"cialtroni" veri, che non hanno alcun interesse a modificare la situazione. 
É già iniziata l’inevitabile “cura dimagrante� Un primo segno arriva dalla 
Sardegna. Il governatore Ugo Cappellacci, ha fatto sapere che ridurrà del 20% la 
sua indennità e quella degli assessori, e del 50% il parco auto della Regione. 
Le auto pubbliche in Italia, secondo una prima stima, sono 90,000, di cui 30,000 
auto blu. I papaveri di Stato, gli appartenenti alla casta, godono di un’auto 
privata con autista e costano 297 milioni di euro all’anno. Il numero reale 
delle auto pubbliche si aggira sulle 150,000; gli autisti dei vari politici ed 
amministratori sono circa 5,000. I politici italiani costano quasi il triplo di 
quelli degli altri grandi paesi europei come la Germania. Tanti sono i privilegi 
per la casta e tantissimi sono gli sprechi. Ecco cosa va eliminato. Ma c’è da 
aspettarsi tante, tantissime resistenze. 
Il Ministro Tremonti ha forse esagerato nel definire <cialtroni> quegli 
amministratori che non hanno saputo impegnare le risorse stanziate, ma ha posto 
una questione importante. 
Il Sud ha ora l’occasione per dimostrare al Ministro che sbaglia, facendo leva 
sulle sue forze migliori, produttive e politiche, per rimuovere quelle anomalie 
che da tempo ne bloccano la crescita. La novità del federalismo fiscale è che 
prevede delle censure importanti a chi amministra male il proprio territorio, 
ritardandone lo sviluppo.Il federalismo fiscale non è semplicemente un pallino 
della Lega Nord: è una necessità imposta dalla riforma costituzionale varata 
alla fine degli Anni 90 dal centrosinistra (la cosiddetta “riforma Bassaniniâ€), 
che ha introdotto nella Costituzione il principio di sussidiarietà e ridisegnato 
i poteri del governo centrale e delle amministrazioni periferiche. É la più 
importante ristrutturazione istituzionale dal dopoguerra in poi, una svolta di 
ammodernamento positiva.
La riforma Bassanini aveva dato alle Regioni i poteri ma non i soldi, che 
arrivavano da Roma senza controllo: Le regioni presentavano il conto e 
l’amministrazione centrale saldava. Si è creata una spirale per cui le Regioni 
virtuose hanno contenuto i costi, assunto poco personale, sviluppato le 
competenze con responsabilità; altre regioni, soprattutto al Centro-Sud, hanno 
invece sperperato lo sperperabile, soprattutto nella gestione della sanità 
tant’è che Roma ha dovuto commissariarle per tappare i buchi di bilancio.
Il federalismo fiscale va inteso come capacità delle Regioni di governare le 
proprie risorse. Esso imporrà loro un principio di responsabilità: il criterio 
del costo standard per le prestazioni sanitarie e il principio del fallimento 
politico. Gli amministratori incapaci non potranno ricandidarsi. Non si tratta 
quindi di una rivolta del Nord contro il Sud, ma di un intervento per riportare 
sotto controllo la spesa pubblica. Riuscirà il federalismo fiscale a risolvere i 
problemi del Sud? Si riusciranno a creare in tempi brevi le condizioni per uno 
sviluppo autonomo del Mezzogiorno? Solo il tempo ce lo dirà. L’ ostacolo 
principale da sormontare è l’abulia delle classi dirigenti meridionali. Nelle 
regioni più arretrate non è ancora in atto alcun piano di bonifica radicale 
delle istituzioni. Saranno i politici in grado di mutare comportamenti e 
abitudini sedimentati? Le amministrazioni locali, con la loro inefficienza, 
cesseranno di frenare lo sviluppo? Cesseranno soprattutto le connivenze con il 
crimine organizzato in regioni come la Sicilia, la Calabria, la Campania e la 
Puglia? 
Questo è il problema ineluttabile che l’Italia del primo decennio del terzo 
millennio deve affrontare concretamente e deve assolutamente risolvere. Il 
federalismo fiscale che responsabilizza gli amministratori regionali e locali si 
rivelerà sufficiente? C’è da augurarselo, altrimenti le conseguenze saranno 
catastrofiche. Il Mezzogiorno sarà condannato all’arretratezza, al declino, al 
trionfo della illegalità. Nessuno, nei 150 anni di unità nazionale, è stato in 
grado di porre rimedio alla Questione Meridionale. Certo i i tempi sono 
cambiati, tuttavia come faceva notare Lampedusa ne Il Gattopardo a proposito dei 
Siciliani ‘la loro vanità è più grande della loro miseria. I Siciliani non 
vorranno cambiare perchè si credono perfetti.’ Ma questo lo diceva nel 1958.
[L'articolo del prof. Salvatore sarà pubblicato nel prossimo numero di 
PanoramItalia, agosto 2010]
