BLOG FONDATO NEL GIUGNO DEL 2000
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Un viaggio nella cultura non ha alcuna meta: la Bellezza genera sensibilità alla consapevolezza.

Luigi Sorella (blogger).
Nato nel 1968.

Operatore con esperienze professionali (web designer, copywriter, direttore di collana editoriale, videomaker, fotografia digitale professionale, graphic developer), dal 2000 è attivo nel campo dell'innovazione, nella comunicazione, nell'informazione e nella divulgazione (impaginazioni d'arte per libri, cataloghi, opuscoli, allestimenti, grafiche etc.) delle soluzioni digitali, della rete, della stampa, della progettazione multimediale, della programmazione, della gestione web e della video-fotografia. Svolge la sua attività professionale presso la ditta ARS idea studio di Guglionesi.

Come operatore con esperienza professionale e qualificata per la progettazione e la gestione informatica su piattaforme digtiali è in possesso delle certificazioni European Informatics Passport.

Il 10 giugno del 2000 fonda il blog FUORI PORTA WEB, tra i primi blog fondati in Italia (circa 3.200.000 visualizzazioni/letture, cfr link).
Le divulgazioni del blog, a carattere culturale nonché editoriale, sono state riprese e citate da pubblicazioni internazionali.

Ha pubblicato libri di varia saggistica divulgativa, collaborando a numerose iniziative culturali.

"E Luigi svela, così, l'irresistibile follia interiore per l'alma terra dei padri sacra e santa." Vincenzo Di Sabato

Per ulteriori informazioni   LUIGI SORELLA


27/12/2000 ● Cultura

Noi chi siamo? Un sociologo a caccia di origini


  Generoso D'Agnese ● 1534


["Messaggero di Sant'Antonio" (edizione italiana per l'estero) del febbraio 1999] - Da anni il professor Richard Juliani dedica il suo lavoro di ricerca alla storia dell’emigrazione italiana negli Usa: un mosaico da ricostruire; un modo per riscoprire la propria cultura. Philadelphia. «Tutto iniziò nel 1914, quando stava per scoppiare la Prima Guerra Mondiale. I miei nonni decisero di fare il grande passo e si imbarcarono per l’America». Le parole scorrono lente nel racconto del nipote di quell’iniziale nucleo italiano che, come tanti, scelse di prendere la strada delle migrazioni oltreoceano. E il racconto della sua vita, il professor Richard N. Juliani, lo distilla ancora una volta nelle pagine di un libro, dedicato agli italiani d’America. Lui, docente di Sociologia alla Villanova University in Pennsylvania (fondata e diretta dai Gesuiti), e due volte presidente dell’AIHA (American Italian Historical Association), di libri ne ha già scritti diversi, e il soggetto erano sempre loro: gli italiani d’America. Ora è uscito anche il suo ultimo lavoro, dedicato all’emigrazione italiana dell’Ottocento a Philadelphia, a quella prima carovana di connazionali che precedette il grande flusso di fine secolo e inizio Novecento. Building Little Italy (Philadelphia’s Italians Before Mass Migration), l’ultima fatica editoriale del professore, fa seguito ai titoli The Italians in Philadelphia (1980) e New Explorations in Italian American Studies (1994), che hanno visto l’italoamericano alle prese con il movimento migratorio italiano. Uomo di successo in campo professionale, Juliani non ha mai dimenticato le sue origini dedicandosi allo studio antropologico dell’etnia italiana con la passione di un neofita. «Mia madre nacque a Roma nel 1908 e la sua famiglia ha sempre abitato in Piazza di Spagna. Ancora oggi esiste un negozio della sua famiglia nelle vicinanze di Piazza del Popolo. Mio nonno invece era di Amatrice, e lui si considerava un vero abruzzese (il paese è poi passato entro i confini dell’attuale Lazio, ndr). Mio padre proveniva da Guglionesi pur essendo nato a Petacciato, anch’esso una volta abruzzese (attualmente in Molise), e la sua famiglia aveva la proprietà del palazzo ducale del paese, nonché uno studio notarile. Mio padre, reduce dalla Grande Guerra, decise di intraprendere la strada della migrazione nel 1922 e con sé portò la sua professione di sarto. A Philadelphia incontrò mia madre per poi sposarla e formare una nuova famiglia nella città di Camden, nel New Jersey. Mio padre è morto da pochi anni mentre la mamma, all’età di 90 anni, è ancora in buona salute: nessuno dei due ha mai potuto rivedere l’Italia!». La storia della famiglia Juliani abbraccia un intero secolo di esperienza migratoria e ripercorre i difficili momenti dell’isolazionismo americano del primo dopoguerra. Risale a quell’epoca la necessità, da parte degli italiani, di camuffare le proprie origini con la nuova realtà americana. Siamo ai tempi di Sacco e Vanzetti, del proibizionismo... tempi in cui essere italiani era davvero difficile, ed essenziale era la conoscenza della lingua inglese. «I miei genitori si adeguarono alle necessità, e noi figli crescemmo senza conoscere, se non in qualche sfumatura, l’idioma delle nostre origini. Quando crebbi e iniziai questa professione, sentii l’esigenza di riprendermi la mia lingua e reiniziai a studiarla». Una riappropriazione, quella di Juliani, che molti italiani hanno dovuto fare sulla propria pelle. «Sono pochi in Italia a conoscere la vera natura della migrazione italiana negli Usa - dice Juliani. A differenza degli emigranti di altre nazionalità, l’italiano non è mai fuggito - con il cuore - dal suo Paese natale. Vecchi italiani che vivono nelle metropoli americane, ancora oggi si portano dentro il ricordo indelebile delle loro origini, l’amore per l’Italia... "Noi dovemmo partire perché era l’unico mezzo per aiutare le famiglie"... Sono queste le parole che ancora ripetono per spiegare la loro nostalgia. I nipoti di questi emigrati hanno invece due tipi di atteggiamento, diametralmente opposti. C’è chi ormai di italiano porta solo il nome e non conosce più niente della storia d’Italia, e chi invece si aggrappa con tutte le forze alla propria origine, cercando segni e tracce della storia familiare in ogni occasione; sono questi gli italiani che tornano in Italia per ripercorrere il viaggio a ritroso... è quello che ho fatto anch’io per riscoprire i luoghi dei miei nonni e per scoprire angoli d’Italia fuori dalle comuni cartine turistiche. Al di là di questo, però, c’è da rammaricarsi per come l’immagine dell’italoamericano sia stata completamente falsata da numerose produzioni cinematografiche. In esse la nostra etnia è stata stereotipata nei soliti canoni della stupidità, della criminalità e della buffoneria... e sono davvero pochi i prodotti che ci ritraggono come siamo realmente: uomini integrati che hanno dato molto agli Stati Uniti in campo umano e professionale». Anche il professor Juliani, approfittando degli inviti da parte di varie università, è spesso in Italia per esplorare le terre dei propri avi. E, al di là dei luoghi, quella che ritrova nei paesi d’origine è una sensazione particolare. «È come trovare un amico sui banchi dell’università e scoprire che è della stessa città, della stessa famiglia. Ecco, noi italiani d’America siamo forse nella stessa situazione. Con voi siamo fratelli, ma lo scopriamo sempre a un certo punto della nostra vita. E quando troviamo i nostri fratelli in Italia (cugini, prozii, altri parenti e compaesani) non riusciamo ad esprimere tutta la nostra "sete" di conoscenza, frenati da una lingua e da una cultura che ci impediscono di sciogliere i tanti lacci che le diverse società ci hanno cucito addosso». Padre di due figli: Alessandra che vive a Los Angeles e Riccardo che insegna nelle riserve indiane dell’Arizona, il professor Juliani sta già lavorando a un nuovo volume, questa volta incentrato sulla storia di Santa Maddalena de’ Pazzi, la prima chiesa italiana di Philadelphia. Tra un libro e un altro, tra un anno accademico e l’altro, Juliani continua il suo cammino verso l’Italia, dedicandosi alla lettura e alla visione di film di registi italiani (Moretti, Tornatore, Scola sono i suoi preferiti). «Il mio lavoro mi ha portato a incontrare tantissimi italiani d’America. E in molti esiste la consapevolezza di aver pagato a caro prezzo la fetta di felicità conquistata in questa terra ospitale. Il prezzo consiste nella perdita delle proprie origini. Senza lingua, senza conoscenze storiche, senza folklore, senza legami parentali, è davvero difficile sentirsi parte di un popolo. Ed è difficile anche sentirsi parte integrante di una cultura che non è la nostra ma mediata da quella anglosassone. Molti hanno davvero la sensazione di aver perso tutto e vagano con una domanda fissa: chi siamo noi?»





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