BLOG FONDATO NEL GIUGNO DEL 2000
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Un viaggio nella cultura non ha alcuna meta: la Bellezza genera sensibilità alla consapevolezza.

Luigi Sorella (blogger).
Nato nel 1968.

Operatore con esperienze professionali (web designer, copywriter, direttore di collana editoriale, videomaker, fotografia digitale professionale, graphic developer), dal 2000 è attivo nel campo dell'innovazione, nella comunicazione, nell'informazione e nella divulgazione (impaginazioni d'arte per libri, cataloghi, opuscoli, allestimenti, grafiche etc.) delle soluzioni digitali, della rete, della stampa, della progettazione multimediale, della programmazione, della gestione web e della video-fotografia. Svolge la sua attività professionale presso la ditta ARS idea studio di Guglionesi.

Come operatore con esperienza professionale e qualificata per la progettazione e la gestione informatica su piattaforme digtiali è in possesso delle certificazioni European Informatics Passport.

Il 10 giugno del 2000 fonda il blog FUORI PORTA WEB, tra i primi blog fondati in Italia (circa 3.200.000 visualizzazioni/letture, cfr link).
Le divulgazioni del blog, a carattere culturale nonché editoriale, sono state riprese e citate da pubblicazioni internazionali.

Ha pubblicato libri di varia saggistica divulgativa, collaborando a numerose iniziative culturali.

"E Luigi svela, così, l'irresistibile follia interiore per l'alma terra dei padri sacra e santa." Vincenzo Di Sabato

Per ulteriori informazioni   LUIGI SORELLA


2/8/2011 ● Cultura

Era di Agosto... 2011

È un divertimento per lo stolto compiere il male, come il coltivar la sapienza per l’uomo prudente. (Proverbi 10,23)

  Giorgio Senese ● 2117


Quella notte aveva avuto un sonno agitato, uno stato d’ansia irrazionale aveva tenuto prigioniero il povero Adamo.
Il mattino lo aveva trovato seduto sullo scrocchiante pagliericcio di foglie di granturco, bagnato di sudore, gli occhi gonfi e le ciglia incollate.
Spalancata la finestrella che dava sulla strada, si parò con la mano dal bagliore delle prime luci dell’alba.
Gli arrivò il rumoreggiare di uomini ed animali intenti nei preparativi necessari ad affrontare la nuova giornata di lavoro nei campi.
Il battere dei martelli dei fabbri ferrai, insieme con gli sbuffi dei grossi mantici azionati dai ragazzi di bottega ancora assonnati, davano il tempo ai galli canterini.
Infine gli giunse anche il cigolio della cariola sgangherata di padre Attanasio che ritornava dal portar via il letame dall’improvvisata stalla che aveva ricavata tra le macerie del castello. Aveva già pulito la lettiera e il letame della capretta e delle poche galline che allevava.
L’immondezzaio non era distante, bastava portarsi sul ciglio delle mura perimetrali diroccate, tra la porta sannitica e la vecchia postazione di artiglieria dove, adesso, i bambini giocavano a cavalcioni sui cannoni abbandonati e resi inservibili dai francesi.
Da lì si buttava giù ogni sorta di rifiuto, il più lontano possibile, tra gli alberi della scarpata.
Il lezzo che ne derivava era parte integrante dell’ambiente per cui nessuno ci faceva caso o se ne lamentava.

Da quando era stato raccolto per strada ed accolto in casa dal religioso, Adamo era rinato a nuova vita.
In quella piccola ed unica stanzetta, dietro la chiesa di S. Nicola, aveva trovato il focolare che da sempre gli era mancato.
Di parole, in verità, ne scambiavano davvero poche e ciò non dipendeva solo dalla difficoltà che Attanasio aveva con la parlata locale.
Il sant’uomo, che tutti chiamavano “ il greco”, era un eremita, ma non come i nostrani che vivevano e pregavano in posti isolati ed inaccessibili.
Lui continuava ad abitare tra gli uomini, con molta discrezione e, quando poteva, come nel caso di Adamo, non mancava di aiutare chi ne avesse bisogno.
Anche Adamo, come la maggior parte della gente, pensava che fosse un tipo strano ma al tempo stesso, ringraziava Dio per averlo messo sulla sua strada.
Attanasio era un eremita urbano che veniva da tanti posti dell’oriente ma , come diceva lui sorridendo- nessuno di cui vale la pena ricordarne il nome -.
A volte la sera, mentre era chino sotto il camino a girare piano il mestolo nella pentola, confidava a Adamo le difficoltà umane che derivavano dalla sua scelta di vita solitaria.
Nascosto dai suoi lunghi capelli bianchi con voce appena percettibile era come parlasse tra sè e sè.
Ad ogni aspetto negativo, però, ribadiva come lo stare sempre faccia a faccia con Dio fosse la sola maniera per scoprire la pienezza del mistero della fede.
- La solitudine del cuore è una condizione necessaria,... lo stesso Gesù fu mandato nel deserto a combattere la debolezza umana attingendo forza dal silenzio del cuore...questo è il luogo dove Dio parla!.-
Per adamo molte cose che il vecchio diceva risultavano incomprensibili e gli scivolavano addosso ma, era cosciente che molto dipendeva dalla sua ignoranza delle cose di Dio e dalla scarsa attitudine a seguire i dettami di una vita religiosa.
Il suo cuore era ancora colmo di amarezza e rancore nei confronti di un Dio che lo aveva penalizzato, da sempre, fin dalla sua nascita.

Adamo quel giorno era fremente, eravamo arrivati al terz’ultimo giorno di luna mancante e la “cacciadiavoli” si trovava ancora in campo.
I fiori di giallo intenso, erano alla massima floridezza e la regola era chiara: la raccolta bisogna farla entro la prima mancanza del mese di Agosto pena il deterioramento precoce dei preparati erboristici derivanti dai fiori e dalle foglie traforate di questo umile quanto prezioso fiore.
Da anni, a Coglionessa, tra i vari conventi, c’era un tacito quanto fraterno accordo per cui l’olio di cacciadiavoli si produceva nel laboratorio erboristico del convento da capo, e cioè dal convento di S. Francesco.
Bisognava prepararne tanto da rifornirne per un anno intero sia il convento che lo Spedale di San Antonio Abate dei Celestini, l’ospedale di S. Angelo ed il convento dei Francescani Riformati di S. Giovanni in Eremo.
Anche se Adamo non era il diretto responsabile, ma solo un aiutante, sentiva ugualmente la responsabilità di tale compito.
L’olio rosso si usava per curare le ferite da incidenti con armi da taglio, guarire le infezioni e le ulcere, uccidere i vermi intestinali, regolare il ciclo mestruale, favorire la diuresi,curare i reumatismi, sedare le sciatalgie ecc.
Proprio la sua versatilità, alla fine, ne faceva un rimedio assai prezioso.
Il convento di S. Francesco, secondo le regole del baratto e della divina provvidenza, nel dare riceveva.
Ottimo miele di quercia arrivava da S. Eremo mentre le cipolle bionde e l’aglio bianco risalivano la china la “Portanuova”, portati dai Celestini del convento dell’Annunziata, che si trovava fuori le mura della città.
I dolciumi, i confetti e sopratutto i lavori di ricamo delicato e fine, che onoravano il Signore in tutte le chiese del paese, arrivavano dalle mani pazienti e amorevoli delle Clarisse di S. Chiara.
L’economia impostata sulla reciprocità nella semplicità dava i suoi frutti migliori e nei magazzini, così come nella dispensa di S. Francesco ogni ben di Dio abbondava. Per contro, i frati non lesinavano aiuto ad alcuno, sia per esigenze corporali che spirituali ed il convento, unitamente a quello adiacente di Santa Chiara, era un’ importante realtà culturale e religiosa.
Il vuoto, lugubre e dolorante creatosi con la distruzione del Castello da Capo, miracolosamente veniva riempito e lenito dalla vita frenetica che si poteva osservare intorno alla chiesa e ai due conventi.
Ragazzi e fanciulli venivano istruiti ai rudimenti della scrittura, della lettura e del far di conto ed anche quando non erano a scuola dai frati, giocavano a rincorrersi ed acchiapparsi in quella che fu la gloriosa piazza d’armi del castello.

L’ufficio delle letture era appena terminato quando fra Silvestro udì il toc toc al portone.
Il suo sandalare svelto e leggero informò Adamo dell’arrivo del frate ed anticipò di poco lo sferragliare della serratura ad aprire la porticina ricavata nel pesante portone di noce massello rinforzato con elementi di ferro.
Frà Silvestro non controllò dallo spioncino apposito perché aveva riconosciuto il particolare ritmare delle nocche ed anche perchè Adamo era l’unico a non usare la campanella che si trovava lì accanto.
- Pace e bene Damccì ! - salutò il fraticello regalando un gran sorriso.- Pace e bene Frassilvè, avete finito con l’ufficio ?-,chiese preoccupato Adamo -... proprio in questo momento,…stavo mettendo a posto i breviari, prego accomodati,... sei caduto dal letto stamattina!-.
Adamo non rispose, prese la cesta fatta di bacchette d’olivo intrecciate che aveva appoggiato a terra.
Conteneva i suoi arnesi da lavoro e le legatore di guglia preparate la sera prima...

L’incipit che ho voluto riportare appartiene ad un mio racconto che non ha la pretesa di essere un romanzo storico, ma le vicende di cui parla, anche se frutto di fantasia, vogliono essere quanto più possibile verosimili.
Allo stesso modo, anche se non esistono fonti storiche che ne diano la certezza, è verosimile che durante i suoi viaggi alla volta del Gargano, S. Francesco abbia visitato il Sannio intorno all’anno 1222.
La sua presenza e il suo esempio di santità diedero, in Frentania, un forte impulso alla fondazione di molti ospizi e ritiri religiosi.
La chiesa ed il convento di S. Francesco in Guglionesi, furono edificati verso il 1410 e si pensa che sia stato il beato Giovanni da Stroncone a fondarlo ma è bello immaginare che lo stimolo iniziale possa essere venuto dallo stesso S. Francesco.
In questo mese, da 21 al 25, è prevista una peregrinatio delle sue reliquie proprio qui a Guglionesi.
Queste reliquie provengono direttamente dal sarcofago che contiene le ossa del Serafico Padre, situato nella Basilica inferiore di Assisi e comprendono alcuni pezzettini di ossa e di abito. Si tratta di resti sacri “avanzati” dopo la ricognizione del corpo del Santo, che fu eseguita nel 1818.
Mi affascina pensare che possa essere una sorta di “ritorno” del santo in questa nostra terra che così tanto lo ama e che così tanto gli somiglia nella semplicità e nella sobrietà della sua gente.
Pace e bene.





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