Aggiornato:
30/1/2013 ● Caro Direttore
Una bussola per orientarsi
Cloridano Bellocchio ● 1380
Caro direttore,
solitudini d’autore, una rubrica ironica e piacevolmente “provocatoriaâ€, come in
altre occasioni lancia spunti interessanti di riflessione. Questa volta la
celebre intervista di Enrico Berlinguer (cfr. "Solitudini
d'autore: "la questione morale"" [FPW 19 ottobre 2012]) che ha posto all’attenzione del
dibattito nazionale la questione morale. All’epoca, l’allora segretario del
partito comunista italiano, fu bollato come moralista e bacchettone.
Non solo dagli ideologi dello yuppismo (da cui proviene Berlusconi) che
animava la Milano da bere degli anni ottanta. A distanza di trent’anni però è
possibile convenire circa la lungimiranza e la lucidità di Berlinguer nel
diagnosticare la ‘pericolosità ’ della deriva partitocratica dei soggetti
principali della democrazia italiana: i partiti di massa. La storia successiva è
nota. La sistematica ‘spartizione dello Stato’ premessa logica della diffusa
illegalità : Tangentopoli ai primi degli anni 90 ed oggi lo scandalo dei costi
della politica legata alle ‘utilità ’ della casta ad ogni livello. La reazione
populista ed il tunnel cui si è infilato il sistema Italia sono la conseguenza.
La partitocrazia è lo smarrimento del bene comune. Aggiungerei della politica
tout court. La politica, com’ è noto, è una forma di attività che per
definizione è finalizzata alla gestione degli interessi comuni. Infatti, il
termine politica deriva da ‘polis’ (la città -Stato) distinta da oikos (casa) che
indica l’ambito esclusivo della sfera privata. La confusione tra i due ambiti
nel senso di una prevalenza degli interessi privati (siano essi i partiti, le
lobby, le famiglie, gli amici, i clienti vari) sulla sfera pubblica è
all’origine della questione morale.
A ben vedere, la lunga transizione che ha caratterizzato la vicenda della
seconda repubblica, letta con l’ottica della questione morale così intesa, è la
storia dell’emergere di consorterie senza scrupoli che si sono appropriati (spesso con metodi maldestri e furbi) di quello che rimaneva della grande
tradizione organizzativa dei partiti di massa. I partiti, nell’ultimo ventennio,
incapaci (dopo la fine della prima repubblica e la contestuale caduta del muro
di Berlino), di ‘ritrovare la bussola’ sia sul piano della cultura politica, sia
nella propria struttura organizzativa hanno subito un processo di degenerazione
diventando cosa altra rispetto al ruolo specifico di corpi intermedi tra SocietÃ
civile e Stato che, non a caso, la stessa Costituzione Repubblicana riconosce.
Forse complice la legge elettorale (la scorciatoia della via tecnica alla
riforma morale, che invece richiedeva profonde innovazioni culturali) i vecchi
partiti di massa sono diventati Partiti personali. Tenuti assieme, chi più chi
meno (di destra e di sinistra) non da nuove grandi sintesi culturali ma dal
collante degli interessi e delle convenienze personali stretti attorno al corpo
ed alla faccia del capo. Icona vivente, persino, da imitare. Alla incapacitÃ
culturale, dunque, si è sostituito il surrogato della cravatta a pois, della frase ad affetto, del
lifting e la ricostituzione improbabile del cuoio capelluto. I partiti non
sapendo cambiare altro hanno escogitato di cambiare nome. Di richiamarsi ai nomi
del leader. Elementi che, evidentemente, risultano più gradevoli all’homo videns,
nel tempo della televisione.
Le ‘ ideologie ‘ che hanno reso possibile ed accompagnato questa deriva per anni
ci hanno ‘narrato’, fino a convincere i più, che l’immagine era più importante
della sostanza. Imponendo il trionfo della fiction sulla realtà . Le illusioni sui fatti concreti. Il nuovo sulla
obsolescenza, presunta, del già noto. Con la conseguente svalutazione, persino,
della storia e la sua degradazione a strumento della politica.
All’interno di questa scenario la realtà è come miracolosamente scomparsa (non
esistono i fatti, ma solo l’interpretazione!!). E con essa il realismo per
affrontare le questioni emergenti che attengono al bene comune ed il destino di
una nazione. Che è quello che dovrebbe davvero contare. Il vuoto di conoscenze e
di soluzioni è stato riempito, dunque, da messaggi inventati ad hoc. Ma sempre
più spesso dal medium. Accuratamente scelti in base a ciò che la gente amava
sentire. O inducendo la gente a credere ciò che valeva la pena amare.
Ed allora la qualità più apprezzata per selezionare la classe dirigente è
diventata la capacità di venditore di illusioni. Magari di…bella e curata
presenza. Non importa se il background posseduto difettava di conoscenza dei
problemi reali della società , delle leggi e delle regole della pubblica
amministrazione e, soprattutto, della ‘passione per il bene pubblico’. Tutti
erano pronti a tutto. Quello che contava, in politica, era l’immagine e
l’ambizione personale. La professionalità e l’onesta d’intendi messi al servizio
del bene comune vennero, persino, banditi dal lessico politico, come residui
moralistici. Di-sconosciuti anche di fronte ad un’evidenza fatta di corposa
materialità . Non a caso la politica è diventata scontro personalistico. Spesso,
ed ovviamente, tra opposti e diversi venditori di illusioni (e di balle!!)
senza esclusione di colpi. Di fronte ai problemi la colpa era sempre dell’altro.
Del partito o blocco avverso. Ma, all’occorrenza anche dell’amico di uno stesso
partito o dello stesso schieramento. La politica, nel volgere di qualche anno, è
tornata ad essere luogo frequentato dagli ‘homo homini lupus’.
Inevitabilmente, questa prassi non poteva non produrre un sistema politico
lacerato in mille pezzi. Inconcludente. Quindi, nel giro di pochi anni prese
consistenza il distacco drammatico tra paese reale e paese legale, tra governati e governanti. E la riduzione di quest’ultimi in
casta cinica, separata ed autoreferenziale. La fenomenologia di decadenza e di
degenerazione costituisce espressione fedele di questa deriva ed è il vero
problema di questa stagione politica. Che sembra sia giunta alla conclusione.
Ma rimane un dubbio: le ‘ ideologie ‘ che hanno reso possibile ed accompagnato
questa deriva sono davvero morte? O le persone che hanno subito la loro
suggestione si stanno “acconciando†alla nuova fase?
Questa fenomenologia riguarda, per molti versi, anche la storia politica recente
di Guglionesi. Rimossi totalmente i problemi del paese, da anni lo sport
preferito da chi ‘dice di occuparsi o volersi occupare’ di politica ( che si fa
sinceramente una certa fatica a riconoscere come classe dirigente) è la
dietrologia senza costrutto. Al centro del dibattito non il paese reale, ma solo
e solamente le persone. Di cui si parla e si sparla. Elemento costitutivo di una
fenomenologia della disperazione che, dietro la politica, nasconde un
incontenibile desiderio di ‘soddisfare’ solo e solamente il proprio smisurato
ego (ismo?). Emerge una drammatica analogia tra il clima nazionale e quello
locale. Se questo è vero siamo di fronte ad una malattia che per essere superata
dovrà appoggiarsi sulla riaffermazione di un metodo autenticamente politico ed
essere affidato, sempre più, a nuove generazioni di donne e uomini, cui sta a
cuore una Guglionesi (ed una Italia) migliore ed inclusiva, e su chi intende
aiutarli a diventare protagonisti. Un moto dal basso che forse è l’unico per contribuire a battere la casta presente a
tutti i livelli.
Ed allora possiamo dire che Berlinguer aveva ragione. Il suo lascito è enorme e
costituisce una bussola per orientarsi in un momento cosi difficile. La buona
politica può ritrovare se stessa solo se nella propria agenda metterà : prima il paese (contenuti) , poi la ditta (contenitori),
infine le persone (le più capaci e volenterose).
A Guglionesi per le prossime amministrative ci saranno persone coraggiose e
disponibili ad avviare una politica di rinnovamento (anche generazionale )
affrontando di petto e per davvero la questione morale così come posta da Berlinguer? A ben pensarci il tipo di risposta (affermativa e negativa) costituirebbe di per sé un bel pezzo di un autentico programma progressista.
