BLOG FONDATO NEL GIUGNO DEL 2000

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Un viaggio nella cultura non ha alcuna meta: la Bellezza genera sensibilità alla consapevolezza.

Luigi Sorella (blogger).
Nato nel 1968.

Operatore con esperienze professionali (web designer, copywriter, direttore di collana editoriale, videomaker, fotografia digitale professionale, graphic developer), dal 2000 attivo nel campo dell'innovazione, nella comunicazione, nell'informazione e nella divulgazione (impaginazioni d'arte per libri, cataloghi, opuscoli, allestimenti, grafiche etc.) delle soluzioni digitali, della rete, della stampa, della progettazione multimediale, della programmazione, della gestione web e della video-fotografia. Svolge la sua attività professionale presso la ditta ARS idea studio di Guglionesi.

Come operatore con esperienza professionale e qualificata per la progettazione e la gestione informatica su piattaforme digtiali in possesso delle certificazioni European Informatics Passport.

Il 10 giugno del 2000 fonda il blog FUORI PORTA WEB, tra i primi blog fondati in Italia (oltre 4.000.000 visualizzazioni/letture, cfr link).
Le divulgazioni del blog, a carattere culturale nonché editoriale, sono state riprese e citate da pubblicazioni internazionali.

Ha pubblicato libri di varia saggistica divulgativa, collaborando a numerose iniziative culturali.

"E Luigi svela, così, l'irresistibile follia interiore per l'alma terra dei padri sacra e santa." Vincenzo Di Sabato

Per ulteriori informazioni   LUIGI SORELLA


30/1/2013 ● Caro Direttore

Una bussola per orientarsi


  Cloridano Bellocchio ● 1380


Caro direttore,
solitudini d’autore, una rubrica ironica e piacevolmente “provocatoriaâ€, come in altre occasioni lancia spunti interessanti di riflessione. Questa volta la celebre intervista di Enrico Berlinguer (cfr. "Solitudini d'autore: "la questione morale"" [FPW 19 ottobre 2012]) che ha posto all’attenzione del dibattito nazionale la questione morale. All’epoca, l’allora segretario del partito comunista italiano, fu bollato come moralista e bacchettone.
Non solo dagli ideologi dello yuppismo (da cui proviene Berlusconi) che animava la Milano da bere degli anni ottanta. A distanza di trent’anni però è possibile convenire circa la lungimiranza e la lucidità di Berlinguer nel diagnosticare la ‘pericolosità’ della deriva partitocratica dei soggetti principali della democrazia italiana: i partiti di massa. La storia successiva è nota. La sistematica ‘spartizione dello Stato’ premessa logica della diffusa illegalità: Tangentopoli ai primi degli anni 90 ed oggi lo scandalo dei costi della politica legata alle ‘utilità’ della casta ad ogni livello. La reazione populista ed il tunnel cui si è infilato il sistema Italia sono la conseguenza.

La partitocrazia è lo smarrimento del bene comune. Aggiungerei della politica tout court. La politica, com’ è noto, è una forma di attività che per definizione è finalizzata alla gestione degli interessi comuni. Infatti, il termine politica deriva da ‘polis’ (la città-Stato) distinta da oikos (casa) che indica l’ambito esclusivo della sfera privata. La confusione tra i due ambiti nel senso di una prevalenza degli interessi privati (siano essi i partiti, le lobby, le famiglie, gli amici, i clienti vari) sulla sfera pubblica è all’origine della questione morale.

A ben vedere, la lunga transizione che ha caratterizzato la vicenda della seconda repubblica, letta con l’ottica della questione morale così intesa, è la storia dell’emergere di consorterie senza scrupoli che si sono appropriati (spesso con metodi maldestri e furbi) di quello che rimaneva della grande tradizione organizzativa dei partiti di massa. I partiti, nell’ultimo ventennio, incapaci (dopo la fine della prima repubblica e la contestuale caduta del muro di Berlino), di ‘ritrovare la bussola’ sia sul piano della cultura politica, sia nella propria struttura organizzativa hanno subito un processo di degenerazione diventando cosa altra rispetto al ruolo specifico di corpi intermedi tra Società civile e Stato che, non a caso, la stessa Costituzione Repubblicana riconosce. Forse complice la legge elettorale (la scorciatoia della via tecnica alla riforma morale, che invece richiedeva profonde innovazioni culturali) i vecchi partiti di massa sono diventati Partiti personali. Tenuti assieme, chi più chi meno (di destra e di sinistra) non da nuove grandi sintesi culturali ma dal collante degli interessi e delle convenienze personali stretti attorno al corpo ed alla faccia del capo. Icona vivente, persino, da imitare. Alla incapacità culturale, dunque, si è sostituito il surrogato della cravatta a pois, della frase ad affetto, del lifting e la ricostituzione improbabile del cuoio capelluto. I partiti non sapendo cambiare altro hanno escogitato di cambiare nome. Di richiamarsi ai nomi del leader. Elementi che, evidentemente, risultano più gradevoli all’homo videns, nel tempo della televisione.

Le ‘ ideologie ‘ che hanno reso possibile ed accompagnato questa deriva per anni ci hanno ‘narrato’, fino a convincere i più, che l’immagine era più importante della sostanza. Imponendo il trionfo della fiction sulla realtà. Le illusioni sui fatti concreti. Il nuovo sulla obsolescenza, presunta, del già noto. Con la conseguente svalutazione, persino, della storia e la sua degradazione a strumento della politica.

All’interno di questa scenario la realtà è come miracolosamente scomparsa (non esistono i fatti, ma solo l’interpretazione!!). E con essa il realismo per affrontare le questioni emergenti che attengono al bene comune ed il destino di una nazione. Che è quello che dovrebbe davvero contare. Il vuoto di conoscenze e di soluzioni è stato riempito, dunque, da messaggi inventati ad hoc. Ma sempre più spesso dal medium. Accuratamente scelti in base a ciò che la gente amava sentire. O inducendo la gente a credere ciò che valeva la pena amare.
Ed allora la qualità più apprezzata per selezionare la classe dirigente è diventata la capacità di venditore di illusioni. Magari di…bella e curata presenza. Non importa se il background posseduto difettava di conoscenza dei problemi reali della società, delle leggi e delle regole della pubblica amministrazione e, soprattutto, della ‘passione per il bene pubblico’. Tutti erano pronti a tutto. Quello che contava, in politica, era l’immagine e l’ambizione personale. La professionalità e l’onesta d’intendi messi al servizio del bene comune vennero, persino, banditi dal lessico politico, come residui moralistici. Di-sconosciuti anche di fronte ad un’evidenza fatta di corposa materialità. Non a caso la politica è diventata scontro personalistico. Spesso, ed ovviamente, tra opposti e diversi venditori di illusioni (e di balle!!) senza esclusione di colpi. Di fronte ai problemi la colpa era sempre dell’altro. Del partito o blocco avverso. Ma, all’occorrenza anche dell’amico di uno stesso partito o dello stesso schieramento. La politica, nel volgere di qualche anno, è tornata ad essere luogo frequentato dagli ‘homo homini lupus’.

Inevitabilmente, questa prassi non poteva non produrre un sistema politico lacerato in mille pezzi. Inconcludente. Quindi, nel giro di pochi anni prese consistenza il distacco drammatico tra paese reale e paese legale, tra governati e governanti. E la riduzione di quest’ultimi in casta cinica, separata ed autoreferenziale. La fenomenologia di decadenza e di degenerazione costituisce espressione fedele di questa deriva ed è il vero problema di questa stagione politica. Che sembra sia giunta alla conclusione.

Ma rimane un dubbio: le ‘ ideologie ‘ che hanno reso possibile ed accompagnato questa deriva sono davvero morte? O le persone che hanno subito la loro suggestione si stanno “acconciando†alla nuova fase?

Questa fenomenologia riguarda, per molti versi, anche la storia politica recente di Guglionesi. Rimossi totalmente i problemi del paese, da anni lo sport preferito da chi ‘dice di occuparsi o volersi occupare’ di politica ( che si fa sinceramente una certa fatica a riconoscere come classe dirigente) è la dietrologia senza costrutto. Al centro del dibattito non il paese reale, ma solo e solamente le persone. Di cui si parla e si sparla. Elemento costitutivo di una fenomenologia della disperazione che, dietro la politica, nasconde un incontenibile desiderio di ‘soddisfare’ solo e solamente il proprio smisurato ego (ismo?). Emerge una drammatica analogia tra il clima nazionale e quello locale. Se questo è vero siamo di fronte ad una malattia che per essere superata dovrà appoggiarsi sulla riaffermazione di un metodo autenticamente politico ed essere affidato, sempre più, a nuove generazioni di donne e uomini, cui sta a cuore una Guglionesi (ed una Italia) migliore ed inclusiva, e su chi intende aiutarli a diventare protagonisti. Un moto dal basso che forse è l’unico per contribuire a battere la casta presente a tutti i livelli.

Ed allora possiamo dire che Berlinguer aveva ragione. Il suo lascito è enorme e costituisce una bussola per orientarsi in un momento cosi difficile. La buona politica può ritrovare se stessa solo se nella propria agenda metterà: prima il paese (contenuti) , poi la ditta (contenitori), infine le persone (le più capaci e volenterose).

A Guglionesi per le prossime amministrative ci saranno persone coraggiose e disponibili ad avviare una politica di rinnovamento (anche generazionale ) affrontando di petto e per davvero la questione morale così come posta da Berlinguer? A ben pensarci il tipo di risposta (affermativa e negativa) costituirebbe di per sé un bel pezzo di un autentico programma progressista.


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