Aggiornato:
		18/3/2013 ● Cultura
La cultura, il potere e l'ignoranza
  Mario Vaccaro ● 1868 
        
        Il titolo è un personale tributo a “Il buono, il brutto e il cattivo” 
dell’immenso Sergio Leone, il terzo dei capolavori della cd. “trilogia del 
dollaro”, in cui il regista ebbe modo, nonostante i modesti budget messi a sua 
disposizione, di mostrare agli americani come i western di John Ford fossero 
retorici e noiosi. Impartì loro una lezione a 360°, dacché la sua innovazione 
riguardò sia lo stile (per i particolari chiedere a Tarantino) che, dato ancor 
più interessante, i contenuti: il nostro tratteggiò abilmente la società 
americana, operando nel contempo una severa critica a quel modello - pilastro di 
quel processo di colonialismo culturale avviato nell’immediato dopoguerra - 
tuttora noto come “sogno americano”. Il filo conduttore dei western, 
magnificamente trasposto nell’epoca del proibizionismo di “C’era una volta in 
America”, è il medesimo: superando la retorica degli opposti cattivo-buono, 
vestiti rispettivamente di nero e di bianco, Leone accomunava entrambi i 
personaggi nel perseguimento dell’identico scopo, ovvero conseguire il 
denaro/potere a costo di ricorrere alla violenza (per i particolari chiedere a 
paesi arabi e sudamericani).
“Tutto questo per dire che cosa?” … si chiederà l’interdetto lettore … già, la 
morale. Difatti non è un corso di cinema che intendevo inaugurare, non avendo al 
riguardo abilitazione alcuna se non quella di fornire uno spunto per una 
riflessione: le righe suestese descrivono uno dei tanti esempi in cui la cultura 
assolve scopi didascalici o didattici che dir si voglia. Ed infatti il lavoro 
artistico di Leone assume un chiaro valore di denuncia, giungendo ad evidenziare 
un ulteriore scopo: assegnare alla cultura la posizione di principale 
antagonista del potere. L’interdetto di prima si chiederà dove voglio arrivare … 
semplice, all’attuale situazione italiana, in cui si è assistito ad un’esplicita 
dichiarazione di guerra da parte del potere nei confronti della cultura.
Non so se è evidente a tutti, ma il berlusconismo è sceso in campo tanto contro 
la magistratura, quanto contro la cultura. Se la guerra nei confronti della 
prima è ancora in corso, il risultato elettorale ultimo è la dimostrazione 
lampante che la seconda l’ha stravinta. Per evitare d’essere scurrile, 
commenterò usando un’iperbole: nel paese dei pazzi sono i sani di mente a stare 
in manicomio. Tra i suoi elettori vi sono molti esponenti della medio-alta 
borghesia persuasi che sia un loro interesse votarlo, per continuare a vivere in 
quel “Paese dei furbetti” in cui si trovano a meraviglia: i peggiori idioti sono 
proprio quelli che si credono furbi non essendolo affatto … giacché se è vero 
che col loro denaro potranno ovviare alla fatiscenza dei servizi, ai loro figli 
che Paese lasceranno in ereditĂ ? Sono, tali scelte, dettate dalla medesima 
ignoranza che ispira quei camorristi che avvelenano le stesse terre in cui 
vivono (solo i virus si comportano così … vedi Matrix). L’ignoranza qui risiede 
nella distorta percezione che gli uni e gli altri mostrano di avere circa la 
qualitĂ  della vita, che credono essere proporzionale alla quantitĂ  di 
denaro/potere in loro possesso.
La cultura assurge al ruolo di nemica del potere dacché l’attuazione concreta 
della democrazia è direttamente proporzionale al livello culturale dei suoi 
cittadini, desumibile dalla qualità dei media. Le élite che detengono il potere 
economico si servono di quello politico per accrescere la loro egemonia. Questo 
processo implica la sostituzione dei poteri forti al popolo quale destinatario 
nel cui interesse si persegue l’azione amministrativa … et voilà, si trasforma 
in oligarchia una democrazia rimasta tale solo nelle intenzioni dei costituenti. 
Per la riuscita di questo esercizio di illusionismo bisogna indurre nella mente 
del popolo uno stato di suggestione, e per tale inganno innanzitutto si fa il 
possibile per contrastare lo sviluppo della cultura: tagli alle scuole pubbliche 
(e nel contempo si assegnano risorse alle private, cioè le cattoliche – un vaffa 
a D’Alema che fu il primo - in barba al “senza oneri per lo Stato” dell’art. 33 
Cost.) e alla cultura in generale.
L’ignoranza, che non si misura tanto dal livello d’istruzione scolastica quanto 
dall’atteggiamento mentale che si mette in mostra quale approccio alla soluzione 
dei problemi, è come la pietra filosofale, ma consegue opposti risultati: 
trasforma in merda tutto ciò che tocca. Questo è in prevalenza l’ingrediente di 
cui sono fatte TV e stampa, entrambe vassalli dei potenti, la cui funzione è 
completare il lavoro di cui sopra, ovvero plasmare la mente dell’italiano medio, 
che è un terreno dissodato in cui seminare le idee che si desidera inculcare.
Ed è nel suo incontro/scontro con la diversità che l’ignoranza genera un effetto 
deflagrante. Il fattore diversità rappresenta l’autentica cartina di tornasole 
capace di evidenziare l’evoluzione culturale d’un popolo, misurabile dal grado 
di attitudine a dar vita ad un approccio di apertura verso quanto si palesi 
alieno rispetto alla propria cultura (le moderne democrazie si definiscono 
pluraliste per la tutela accordata alle minoranze d’ogni sorta). Il terreno più 
fertile in cui è possibile attuare un’evoluzione è proprio quello in cui avviene 
il confronto e la conseguente sintesi di più culture (l’Italia medievale, 
terreno di conquista di popoli provenienti da ogni dove, è stata un esemplare 
laboratorio): di certo è il contrasto dinamico e non la staticità/isolamento a 
caratterizzare il fattore cultura, consentendo a chi si fa interprete della 
stessa di “generare”.
Solo mostrando di essere in possesso di strumenti culturali aggiornati le nuove 
generazioni potranno attuare quello sviluppo culturale che le renda adeguate 
alle esigenze della contemporaneitĂ , interpreti della stessa, anzi protagoniste 
(perseguendo quel destino imposto loro dal nome … nomen omen). Quando al 
contrario è l’ignoranza, il vuoto culturale a stare al timone del Paese, 
navighiamo nell’incertezza: quel senso di inadeguatezza, che già rappresenta una 
costante dei nostri tempi caratterizzati da una brusca accelerazione nel campo 
della tecnica, a cui non corrisponde un adeguato sviluppo culturale, finisce per 
aggravarsi. La questione dell’adeguatezza in Italia neppure si pone; il nostro 
“non è un paese per giovani”, avendo in ogni settore del potere la classe 
dirigente più vecchia d’Europa e, riguardo alla politica, resta la pratica 
invalsa di farla diventare una carriera fino a superare la soglia pensionabile.
Ed infatti come potremmo essere pronti alle sfide del futuro se non riusciamo a 
risolvere vecchie questioni come razzismo, intolleranza, maschilismo ecc., in 
cui lasciamo che a guidarci siano ancora i pregiudizi? In un normale processo 
dialettico si opera un confronto tra i differenti punti di vista, dalla cui 
sintesi emerge un giudizio … ma è operazione che costa fatica, meglio scegliere 
un giudizio preformulato da altri, ovvero quei semi di TV e stampa che lasciamo 
attecchire, senza verificare se siano piante infestanti quelle che germineranno.
Dunque non riusciamo a fornire adeguate risposte dacché non siamo in grado di 
comprendere le relative domande, che sono speculari ad un sistema di valori non 
annoverato nel ristretto ambito culturale che i nostri animi sono usi 
frequentare. Questa moderna propensione all’ignoranza ha tuttavia una matrice 
diversa da quella con cui i nostri avi si sono dovuti confrontare: quell’accesso 
alle fonti culturali una volta esclusivo di un’élite di persone, da mezzo secolo 
è generalizzato. Anzi, paradossalmente è la replicazione esponenziale delle 
fonti a sollevare problemi riguardanti la necessitĂ  di possedere una maggiore 
capacitĂ  critica per condurre corrette analisi e giungere a valide deduzioni. Se 
occorre dunque “processare” molti dati, è tuttavia indubbio che soffriamo d’una 
pigrizia mentale indotta ed alimentata dal potere, impersonato da “cattivi 
maestri” che usano all’uopo un’antica ricetta dei Romani, “panem et circenses”.
L’illusionismo prevede infatti, per la riuscita dell’esercizio, la distrazione 
del pubblico: in questo la TV è riuscita egregiamente, considerata la qualità 
dei giochi propinatici, via via sempre più scadente. Anche quest’aspetto 
fornisce le dimensioni del declino culturale, laddove il grande successo dei 
nazional-popolari Fiorello-Zalone non trova corrispondenza alcuna con autori per 
palati più fini. Abbiamo geni come Bergonzoni, Ovadia, Luttazzi e Rezza … da 
cercare su Youtube! Eppure l’ironia è uno degli strumenti culturali più potenti 
a nostra disposizione – di quelli che hanno consentito di autocertificarci 
doppiamente sapiens - che ci consente di ridimensionare le miserie della 
condizione umana di cui tanto si crucciava Amleto: tal nonsochi la definiva come 
“la manifestazione della superiorità dell’uomo su ciò che gli accade”. 
Ma è la cultura in generale a farci vivere meglio, oltre naturalmente al denaro: 
nella percezione che ne abbiamo, la vita non è che una successione di stati 
d’animo indotti dall’alterna fortuna, spesso determinata dalla bontà delle 
nostre scelte; la cultura ci consente di compierle con consapevolezza, è un 
ausilio per non sbagliare. Fare affidamento su decisioni altrui è indubbiamente 
più rilassante ma … “che famo, famo a fidasse?”.
