BLOG FONDATO NEL GIUGNO DEL 2000
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Un viaggio nella cultura non ha alcuna meta: la Bellezza genera sensibilità alla consapevolezza.

Luigi Sorella (blogger).
Nato nel 1968.

Operatore con esperienze professionali (web designer, copywriter, direttore di collana editoriale, videomaker, fotografia digitale professionale, graphic developer), dal 2000 è attivo nel campo dell'innovazione, nella comunicazione, nell'informazione e nella divulgazione (impaginazioni d'arte per libri, cataloghi, opuscoli, allestimenti, grafiche etc.) delle soluzioni digitali, della rete, della stampa, della progettazione multimediale, della programmazione, della gestione web e della video-fotografia. Svolge la sua attività professionale presso la ditta ARS idea studio di Guglionesi.

Come operatore con esperienza professionale e qualificata per la progettazione e la gestione informatica su piattaforme digtiali è in possesso delle certificazioni European Informatics Passport.

Il 10 giugno del 2000 fonda il blog FUORI PORTA WEB, tra i primi blog fondati in Italia (circa 3.200.000 visualizzazioni/letture, cfr link).
Le divulgazioni del blog, a carattere culturale nonché editoriale, sono state riprese e citate da pubblicazioni internazionali.

Ha pubblicato libri di varia saggistica divulgativa, collaborando a numerose iniziative culturali.

"E Luigi svela, così, l'irresistibile follia interiore per l'alma terra dei padri sacra e santa." Vincenzo Di Sabato

Per ulteriori informazioni   LUIGI SORELLA


15/4/2013 ● Cultura

Il bullone e la rondella


  Mario Vaccaro ● 1414


L’età contemporanea … quante peculiarità! La realtà è una sorta di palcoscenico che ciascuno calca per rappresentare tanti ruoli nell’ambito di una rappresentazione teatrale in cui il Regista ci concede un’ampia libertà di interpretazione … questo è quantomeno quel che crediamo. Negli svariati secoli in cui a recitare quali attori sono stati i nostri avi, la scenografia ha subito mutazioni impercettibili: da circa mezzo secolo è invece in continua evoluzione (?). Non occorre attingere all’arte, alla sensibilità della penetrante vista di questo mondo popolato di semidei per cogliere l’enorme differenza, in fatto di velocità, tra il progresso tecnologico e lo sviluppo culturale: due fattori che da sempre viaggiano paralleli e che sarebbe opportuno procedessero a ritmo pressoché omogeneo. Se fino al 19° secolo si consumavano intere generazioni prima di veder sbocciare prodotti della nostra tecnica in grado di rivoluzionare lo stile di vita, la brusca accelerazione della tecnologia (cd. legge dei ritorni acceleranti) a cui stiamo assistendo sottopone la medesima generazione a continue prove d’esame per misurare la propria adeguatezza ai repentini cambiamenti del mondo che ci circonda.

Pensiamo, tanto per scegliere uno tra gli esempi più calzanti, alla mutazione già in atto e che è ancora in divenire, di cui il telefonino è protagonista indiscusso: se questo inseparabile compagno ci consentiva, durante gli spostamenti, di coltivare i rapporti interpersonali portandoci appresso l’intera sequela di amici-conoscenti-parenti (generando un bizzarro costume, quello degli “auricolambulanti”, che sembrano parlare a se stessi, in un contegno di apparente pazzia che si rivela essere la perpetrazione in chiave esponenziale di quel vezzo che taluno coltivava da bambino, ovvero di intrattenere rapporti con un amico immaginario, che nel nostro caso si moltiplica fino a diventare quella comunità la cui anagrafe risiede nella rubrica), la proliferazione delle svariate funzionalità ora è giunta – in un traguardo che gli esperti giudicano essere una semplice tappa intermedia – a farlo diventare, nelle vesti di smartphone, un adeguato rimpiazzo del computer. Da tempo abbiamo conseguito lo storico traguardo per il quale nel ‘900 si è investito molto in termini di capacità tecniche, ovvero quello di abbattere le distanze fisiche che ci separavano, cavalcando le possibilità del tempo reale, esibendo il dono dell’ubiquità pur senza possedere facoltà miracolose. Ma la corsa tuttavia non è affatto terminata: moltiplicando le nuove funzioni la tecnologia in realtà ci ha trasformato tutti in potenziali supereroi, che vedono accrescere di continuo la serie di superpoteri in dotazione. Che fico, anzi cool … in realtà la tecnologia fa a noi quel che il cioccolato combina ai nostri denti, regalandoci una sensazione di intenso benessere intaccando sensibilmente la nostra costituzione (esistenziale).

La civiltà tecnologica ha però fin dagli inizi fatto sfoggio delle sue aberranti conseguenze: la Germania nazista ha subito messo in evidenza le distorsioni, in tema di comportamento umano, che si generano quando si è parte di un complesso apparato tecnico/burocratico, che ti spersonalizza e deresponsabilizza. Credete forse che milioni di tedeschi siano di colpo impazziti diventando dei serial killer? D’altronde anche i nostri nonni o bis-tali durante il fascismo hanno quasi unanimemente dato corso a comportamenti che definire biasimevoli è un eufemismo. La psicologia ne ha fornito una spiegazione: se dalla sfera del potere il Fuhrer/Duce battezza col crisma della legalità comportamenti che la nostra “corda civile” – secondo il dizionario di Pirandello – reputerebbe abominevoli, si ritorna tutti bambini. Avete presente la cattiveria del bambino, di questo ometto in fieri il cui intelletto non ha avuto il tempo necessario per giungere ad educare la propria psiche su ciò che è giusto dire/fare? Da adulti quella nostra superiore facoltà, l’intelletto per l’appunto, ci consentirà di confinare nell’”ombra” – direbbe Jung, o nel “lato scuro” secondo Obi-Wan Kenobi – tutti quei contegni che potremmo per semplicità ricondurre all’unica matrice che siamo usi definire “male”. All’interno di un apparato tecnologico/burocratico, rispetto al quale rappresentiamo un + o – semplice ingranaggio, non siamo più persone, e dal superiore gerarchico riceviamo ordini/direttive da eseguire senza stare a chiedersi il perché, essendo il fondamento del nostro compito basato sul fattore competenza: nell’ambito della relativa sfera siamo tenuti ad eseguire ciò che non rientra nella nostra autonomia decisionale, non essendone quindi responsabili.

Quanto vi sto esponendo non è altro che la risultanza di quel che è venuto a galla in seguito al famoso processo di Norimberga. Sebbene autori di indicibili nefandezze, tutti gli imputati erano candidamente convinti di non aver compiuto nulla di disdicevole, avendo messo in pratica ordini superiori (Eichmann, processato ed impiccato ad Israele, aveva progettato la deportazione in perfetta chiave apparato, trattando il trasporto degli ebrei come fossero merci: treni che giungevano direttamente nei lager e i numeri tatuati che, in combinazione con i simboli, fungevano come una sorta di codice a barre per un prodotto da macellare; l’amministratore della casa farmaceutica che produceva il gas Zyklon B, di fronte allo sdegno di chi lo additava quale moralmente responsabile del genocidio, rispose di sentirsi responsabile solo di fronte ai suoi azionisti). Dacché siamo in argomento, è storicamente provato che degli ebrei hanno fatto saponette nell’indifferenza generale: già dal ’42, quando era partita la cd. “soluzione finale”, tutti sapevano, Vaticano incluso. E’ importante ciò per sottolineare un’altra piega psicologica evidenziata da quella barbarie, rappresentata dalla seconda argomentazione di difesa dei nazisti, stavolta tendente a sconfessare addirittura l’esistenza dell’Olocausto. I tedeschi sostenevano l’inverosimiglianza dell’esistenza dei campi di sterminio: come avrebbero potuto centinaia di SS tenere a bada centinaia di migliaia di prigionieri, senza che gli stessi si fossero mai ribellati o avessero tentato la fuga? Già, la cosa triste è appunto che gli ebrei si erano rassegnati, avendo da subito chiaramente percepito di essere odiati da tutti, quindi fuggire per andare dove (in alcuni paesi, vedi nel ghetto di Varsavia, sono stati trattati peggio che dai nazisti, altrove c’è stato solo un colpevole silenzio)?

La moderna società tecnologica, quella di cui siamo semplici ingranaggi, non è altro che la continuazione di questo prototipo. L’accelerazione progressiva in questo campo ci ha paradossalmente ricondotti nel Medioevo. Da manuale di storia, la fine di questo coincide con la scoperta dell’America: è una data convenzionale, dacché l’era moderna inizia con la scoperta galileiana del “metodo scientifico” e la successiva rivoluzione industriale. Attenendoci ai simboli, il cui valore è di gran lunga superiore a quella data convenzionale, l’ingresso nell’era moderna è rappresentato dalla figura dell’”uomo vitruviano”. Questo disegno di Leonardo, oltre a rappresentare le proporzioni ideali del corpo umano è il simbolo dell’Umanesimo, del primato dell’Uomo sulla Natura, del suo porsi al centro del mondo quale assoluto ed indiscusso protagonista. Orbene, la moderna civiltà tecnologica relega nuovamente l’uomo ad una posizione subalterna: non più protagonista del suo destino, l’uomo ha posto le basi per la creazione d’un apparato tecnologico che – vedi il filone narrativo della “macchina che si ribella all’uomo” - gli è poi sfuggito di mano. L’attuale situazione vede l’uomo arrancare nell’inseguimento della sua creatura: lungi dall’essere il protagonista di questo mondo, è l’apparato tecnologico/finanziario a dettare condizioni e ritmi a cui egli deve obtorto collo adeguarsi: la c.d. “società liquida” – famosa locuzione inventata da Bauman – è appunto quella attuale, la cui struttura subisce continui adattamenti alle diverse scenografie predisposte dalla nostra peculiare società, che ci fa gli onori di casa solo quando indossiamo la maschera del consumatore.

A questo Moloch sacrifichiamo la nostra umanità. Nello specifico sono le giovani leve ad essere immolate per placare la sete di tale divinità: l’apparato ha bisogno del loro sacrificio per continuare ad esistere. Si nutre di speculazioni finanziarie, di guerre (nelle due guerre mondiali i giovani stavano in prima linea, per farsi macellare dall’artiglieria nemica e poter favorire l’avanzata dei veterani), di disoccupazione giovanile e della loro sicurezza economica: siamo la prima generazione che starà peggio dei genitori. La presenza del mostro da noi si è fatta sentire col governo tecnico, con Monti chiamato a sanare i conti anziché l’economia reale: rifinanziate le banche coi nostri soldi, a loro volta queste non concedono mutui per finanziare quegli investimenti necessari a creare imprese e posti di lavoro. Lo scopo delle manovre finanziarie è stato quello di tenere in vita il capitalismo, la divinità mostruosa, non di salvaguardare lo stile di vita dei suoi adoratori. Occhio all’ipocrisia celata nelle parole … “si chiedono sacrifici per il sistema creditizio”. Primo, prendersela nel culo vi sembra “fare qualcosa di sacro”? Secondo, il sistema delle banche ha quale scopo principale fare debito, non credito.

Nell’attualità tutti inveiamo contro la politica ed i suoi attori, fomentando quella cd. antipolitica che è quell’atteggiamento facilone con cui si dà loro addosso seguendo un atteggiamento poco costruttivo … e questa difesa dei politici è, ahimè, fondata: la storia ci sta sbattendo in faccia un’amara verità, la consapevolezza della nostra inutilità, un sentimento che dovrebbe essere anche da loro condiviso, perché l’essere ingranaggi – o pupi se preferite – è un destino che ci accomuna, pochissimi essendo i Mangiafuoco. E’ inutile infervorarsi per rivendicare una corretta applicazione della democrazia se questa è il contenitore del vero motore del mondo, il capitalismo, che per natura è oligarchico; occorrerebbe ristabilire il primato della politica sulle esigenze economico-finanziarie. La nostra religione, quella sì che è un vestito fatto a misura per il capitalismo. Eppure c’è la crisi spirituale, e se vivessimo davvero cristianamente ciascuno di noi, che per definizione è un pensiero di Dio, dovrebbe seriamente chiedersi quale Suo pensiero incarni. Inoltre, più che interrogarci sul senso della nostra vita dovremmo autoformulare un più pertinente “quale funzione ho?”.

Qualcuno potrà/vorrà intendere questi miei come deliri e questo pessimismo non condurre a nulla di costruttivo.
Ci metto subito una pezza, so cosa occorre in questi casi: un tocco di retorica, un messaggio benaugurante, quindi d’amore. Il quadro che ho fornito è simile a quello descritto da Fritz Lang nel suo visionario “Metropolis” del 1927 (anticipando Orwell d’un ventennio circa), che si conclude con una pennellata di rosa: in “Forrest Gump” l’amore dei due protagonisti era da lui descritto … “siamo come pane e burro”, in quel film muto immagino gli innamorati sussurrarsi qualcosa tipo “siamo come il bullone e la rondella”.





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