BLOG FONDATO NEL GIUGNO DEL 2000
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Un viaggio nella cultura non ha alcuna meta: la Bellezza genera sensibilità alla consapevolezza.

Luigi Sorella (blogger).
Nato nel 1968.

Operatore con esperienze professionali (web designer, copywriter, direttore di collana editoriale, videomaker, fotografia digitale professionale, graphic developer), dal 2000 è attivo nel campo dell'innovazione, nella comunicazione, nell'informazione e nella divulgazione (impaginazioni d'arte per libri, cataloghi, opuscoli, allestimenti, grafiche etc.) delle soluzioni digitali, della rete, della stampa, della progettazione multimediale, della programmazione, della gestione web e della video-fotografia. Svolge la sua attività professionale presso la ditta ARS idea studio di Guglionesi.

Come operatore con esperienza professionale e qualificata per la progettazione e la gestione informatica su piattaforme digtiali è in possesso delle certificazioni European Informatics Passport.

Il 10 giugno del 2000 fonda il blog FUORI PORTA WEB, tra i primi blog fondati in Italia (circa 3.200.000 visualizzazioni/letture, cfr link).
Le divulgazioni del blog, a carattere culturale nonché editoriale, sono state riprese e citate da pubblicazioni internazionali.

Ha pubblicato libri di varia saggistica divulgativa, collaborando a numerose iniziative culturali.

"E Luigi svela, così, l'irresistibile follia interiore per l'alma terra dei padri sacra e santa." Vincenzo Di Sabato

Per ulteriori informazioni   LUIGI SORELLA


7/2/2014 ● Cultura

C'era una volta


  Mario Vaccaro ● 1562


Caro Paolo, dovrei volertene - si fa per dire - già per il solo avermi trascinato in argomentazioni afferenti quella che, tra le questioni da un milione di dollari, è senz'altro la più complessa. La pavidità e' indotta dal rischio d'apparire, agli occhi del potenziale lettore, presuntuoso nell'affrontare tale tema; inoltre, in sintonia con la riflessione offerta dal prof. Pretore, reputo più consona una discussione old style, magari davanti a quel boccale di birra che hai paventato come alternativa nel tuo primo intervento. Prima, però, di fornirti puntuali chiarimenti sulle precise perplessità da te formulate nel blog, provo ad illustrare la mia visione generale sul tema "religione", operando un'ardita sintesi - progetto di cui prevedo il naufragio ... un traffico di vorreidire affolla la mia mente - sul più interessante tra i fenomeni culturali d'una data società.

E già, ché chi - come appunto il fedele - vive il fenomeno dall'interno, tende a dimenticare che l'imprescindibile punto di partenza per affrontare la questione é collocarla nell'esatta posizione: fenomeno culturale. Operazione, questa, che non svilisce affatto l'importanza che essa ricopre e che personalmente, in un mio precedente scritto su questo blog, avevo già evidenziato. In quel caso riflettevo sul sentimento di appartenenza e sul ruolo ricoperto in tal senso dalla religione, verso cui l'uomo solitamente opera una scelta non consapevole: anche tu sarai diventato cattolico perché in tenera età hai cavalcato quel fine strumento che la tua cultura di appartenenza ha elaborato per approcciare l'imponderabile, per far luce sulle arcane questioni ... "chi siamo", "qual è il senso della nostra vita". In seguito, nella maturità, l'uomo ha l'occasione di rendersi conto che le religioni sono come diverse lingue che, opportunamente tradotte, forniscono una medesima risposta (Panikkar: "le religioni sono sentieri che conducono verso l'unica cima" ... lui, che tra le tante cose era anche un sacerdote cattolico), e scoprire così che tutto l'entusiasmo e' riposto nel viaggio, essendo la meta, oltre che impraticabile, superflua da raggiungere. Comprendo che agli occhi di un fedele questo approccio possa apparire una reductio, eppure paradossalmente è avvicinandosi ad essa quale fenomeno culturale che la religione offre il meglio di se'. Sempre in tale ottica, e' interpretando la Bibbia con gli strumenti dell'esegesi letteraria che il Libro sprigiona contenuti che il canonico sguardo teologico, forse perché reso angusto dalla necessità di una rigida interpretazione in coerenza, non coglie. Pur senza scendere in dettagli, basti la sola credenza che la religione d'appartenenza sia, tra le tante, la sola ad individuare il Divino - tutte le altre essendo lontane dal percorso che conduce alla Verità - per ingenerare la convinzione che un siffatto interlocutore sia in realtà un narratore di favole.

A ben vedere, tuttavia, son proprio queste a contenere lo stesso magico meccanismo che, a mio avviso, e' dato riscontrare nei testi sacri: pur narrando di accadimenti inverosimili, il bambino sta al gioco, ci crede. Quanto riportato nella Bibbia non è affatto oro colato, e' divina nelle aspettative e sin troppo umana nelle sue contraddizioni, letterali ed interpretative. Quella che conosciamo e' solo una delle Bibbie possibili a cui si è giunti dopo che all'originale in ebraico - una sfilza ininterrotta di consonanti - vennero aggiunte le vocali ed effettuata la partizione del testo, senza contare le successive stratificazioni corrispondenti a più di un intervento umano. Ma la vera questione, per quanto mi riguarda, e' la seguente: essa rappresenta la fonte di quella religione di cui la mia etnia s'è dotata ... risponde alle mie esigenze circa l'approccio all'imponderabile? Bene, allora ci voglio credere. Dio esiste? Domanda ingenua ... proprio perché forse non esiste occorre crederci (se si fosse certi della Sua esistenza l'umanità non ne avrebbe così tanto bisogno e, soprattutto, divenuta depositaria dei misteri della vita, la razza umana si estinguerebbe causa noia). Dunque, come nelle favole - e nei miti greci o nella Divina Commedia - per credere a quanto ivi narrato non v'è bisogno di convincere gli altri che la volpe parla, che Achille è davvero invulnerabile e che Dante intrattiene conversazioni in latino volgare con Omero ... mi piace/ho bisogno di crederci e ci crederò. Chi, al contrario, ha bisogno di essere persuaso che il testo della Bibbia sia stato dettato da Dio agli uomini e da questi fedelmente riportato, dell'esclusività del proprio Dio, nonché di persuadere gli altri di tali circostanze, e' cittadino di una umanità dedita alla superstizione.

Rischio di apparire come un paladino della ragione, ma è tutt'altra la mia convinzione. So che la ragione, il sapere, possono solo indicarci la strada, il cui tratto finale e' possibile colmare unicamente grazie alla fede: mi è sempre piaciuto pensare che la vicenda dell'obbligo apparentemente insensato che Dio ha posto nell'Eden circa il frutto dell'albero della conoscenza rappresenti un'allegoria celante proprio tale messaggio ... il sapere non serve per giungere a Lui. Riguardo al percorso che conduce alla Verità, sottoscrivo in pieno il pensiero espresso da Papa Wojtila nell'enciclica "Fides et ratio", che citerò soprattutto per la splendida metafora ivi utilizzata: "la fede e la ragione sono come le due ali con le quali lo spirito umano s'innalza verso la contemplazione della verità". Sebbene l'Amore di Dio giunga all'intelletto mediante la Rivelazione, l'uomo deve conoscere quest'ultima, e "il processo della conoscenza della Rivelazione passa dalla ragione, non v'è altra via".

L'essoterismo, dunque il percorso indicato dalle religioni, rappresenta il tentativo di rendere accessibili a tutti quelle verità che tali sarebbero solo per una ristretta cerchia di iniziati all'esoterismo. La funzione di miti e leggende, come delle allegorie celate nelle vicende bibliche o nelle parabole del Cristo, e' di "spiegare col cucchiaino" concetti ostici e che comunque mai si diffonderebbero tra la gente comune se non si attingesse alla popolarità che naturalmente riscuote il racconto, la narrazione, con il corredo di archetipi che rappresentano per l'intelletto chiavi di accesso a verità immediatamente riconoscibili. Nonostante l'utilizzo del cucchiaino, questi concetti vanno comunque assimilati ... "In principio era il Verbo ecc.", l'incipit del vangelo mistico, può essere compreso appieno senza spiegare cosa si intenda per Verbo? Per comprendere questa definizione di Dio e tanti altri concetti espressi nel libro sacro, non a caso insegnamenti mai impartitimi nel catechismo o nell'ora di religione, occorre padroneggiare qualche rudimento di filosofia. E' invece curioso come spesso ai fedeli, che hanno un approccio quotidiano con l'argomento che per eccellenza richiede uno sforzo intellettivo non comune, capiti di incorrere in quella pigrizia mentale indotta dai tanti ipse dixit espressi dalla nostra religione, dogmi formulati in numero tale da risultare sconosciuti agli stessi sacerdoti: imboccando tale strada la stessa Chiesa ha edificato ed alimentato nei secoli una dottrina inaccessibile ai più. E gli stessi fedeli nelle questioni religiose intervengono spesso citando formule stereotipate, quasi recitassero dei mantra: mai nel dubbio, intravedono nella precoce - banale dirlo - morte d'un bambino la volontà di Dio di richiamare a se' un angelo ... accade una disgrazia? ... evidentemente lo sfortunato ha le spalle larghe e può sopportare questa sorta di banco di prova (un tempo sarebbe stato interpretato come un segno della collera divina) ... come la patafisica, la superstizione elabora soluzioni immaginarie.

Tornando alla questione della religione come "servizio" che deve rispondere alle esigenze d'una data società, gli affanni della Chiesa riguardo alla coerenza della dottrina, le sue preoccupazioni temporali e la fissa dei fedeli più ortodossi circa il senso della vita e altre menate varie, hanno un senso per un popolo che forse ha bisogno di altro? L'odierna attività pastorale e' in sintonia con i desideri spirituali del gregge? Data la recente disaffezione, qualcosa di sicuro non va. Sbaglierò, ma soprattutto in questi tempi bui - in cui la disonestà e' un modello vincente e futuro-ottimismo sono parole desuete - la Chiesa dovrebbe testimoniare della gioiosita' del vivere probamente, parlare della promessa del Paradiso (critica mossa da Celentano nel Festival e che è stata buttata in vacca dai giornali cattolici indignati per altri motivi), ovvero il finale del racconto biblico, proprio quello che fa acquisire un senso al tutto.

Ascolta questo spaccato di vita reale. Prima di Natale e' venuto a benedire la casa il prete - un retaggio di pratiche di sapore pagano, invero, che apprezzo pur lasciandomi interdetto - al quale mia madre ha chiesto delucidazioni sull'effettiva esistenza del Paradiso. Premesso che i nostri due parroci svolgono il loro ministero lodevolmente (passerò per uno stronzo insensibile ma la differenza con chi li ha preceduti e' evidente), il pur preparatissimo prete ha liquidato la questione rimandando alla generica esperienza dei santi nonché al luogo comune del tunnel di luce. Ribadendo il fatto che il prete in questione e', a mio giudizio, preparatissimo nel suo "mestiere", mi è sembrato spiazzato, come se non s'aspettasse quella domanda che, in fondo, rappresenta proprio quella debolezza umana che ci induce a cercare risposte nella religione: il timore che nulla, o qualcosa di non paragonabile alla nostra già magra esistenza, ci sia ad attenderci dopo la morte. L'istituzione e i praticanti troppo spesso sembrano aver dimenticato che il vero protagonista della religione, creatore e destinatario della stessa, e' l'uomo. Leggendo la Bibbia ciò e' sin troppo evidente: nella Torah (i primi 5 libri) Dio fa comparsate, e non fa neppure tutta 'sta gran figura, con la sua indole guerriera che trasmette al suo popolo eletto, che cercherà senza gran successo di espandere il territorio. Questo lontano parente del Dio di cui il Cristo ci parla e' il protagonista della testimonianza di fede di ogni credente: accade così che il tuo amico cambia in positivo grazie all'intervento divino, e quando si pecca la colpa la condividiamo col Diavolo (e se il peccato, pur nella sua negatività, e' rimediabile, peggio sarebbe non chiedere il perdono) ... il bene e il male sono fonti esterne a cui ci abbeveriamo. Comodo pensarla così, che non siano due forze al nostro interno, da imparare a governare. Anche un non credente può migliorare, e anche quando utilizziamo la religione come guida il merito resta principalmente dell'uomo, della sua dedizione. Il meccanismo del peccato e del perdono recante il crisma sacerdotale può condurre a pericolose teorie, che permettono a pezzi di merda come Riina e Andreotti di poter credere d'essere buoni cristiani per il solo fatto di collezionare santini o presenziare quotidianamente alla messa: non so per la dottrina, ma tra un ateo che vive onestamente ed un fedele praticante che continua a vivere nel peccato nonostante i reiterati pentimenti/perdoni e' il secondo che invierei all'Inferno (il prototipo universalmente conosciuto e' quello dantesco che, paradossalmente, ne ha fatto una rappresentazione metaforica che si è voluto invece interpretare alla lettera).

Usiamo la religione per lo strumento che è: non come forma di potere ma, oltre a strumento consolatorio che fornisca una risposta collettiva alla paura della morte, come galateo per l'anima. Il suo scopo e' renderci migliori, educare l'intelletto affinché l'uomo comprenda quale sia il giusto contegno da tenere: anche il diritto penale ce lo indica, minacciando però una punizione, mentre la religione c'insegna che occorre vivere onestamente perché è giusto farlo. Ti dirò, consapevole di peccare di eresia, che una delle proposizioni bibliche più famose assume per me un significato se debitamente invertita: e' l'uomo ad aver concepito un Dio a sua immagine e somiglianza, poiché ogni etnia si dota di un credo religioso che corrisponde al grado di sensibilità di cui quella data cultura si mostra capace. Quel credo cattolico, che un popolo in cattività ha creato a sua misura, in due millenni ha subito modifiche da un'istituzione che lo ha plasmato assecondando le sue necessità: se lo abbia fatto onestamente e in buona fede e' giudizio a cui si giunge grazie all'analisi storica, alla quale la Chiesa non può sottrarsi per una autoconclamata divinità e per la moderna proclamazione di infallibilità del suo Pastore.
Inefficace riguardo alla sintesi che m'ero proposto di operare, rimando ad un secondo momento le riflessioni da te proposte su singoli argomenti.
Ciao Paolo.

P.S.: Non sono a priori contrario alle innovazioni dottrinali, spesso foriere di un autentico progresso spirituale: penso al filone del neoplatonismo che reca in se' la dote del concetto di anima, al culto mariano che mette una pezza al maschilismo tradizionalista riconoscendo una certa qual dignità alla donna e - con un'inversione a "U" torno al tema iniziale della discussione - al superamento del concetto agostiniano di "guerra giusta" grazie ad un'enciclica quasi imposta dal Papa buono (la nostra religione, su alcuni temi, si mostra una fuoriserie ... la pace non credo sia il suo forte).





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