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		20/5/2014 ● Solitudini d'autore
Tra economia e cultura (l'Arte di produrre Arte)
 Redazione FPW ● 1506
  Redazione FPW ● 1506 
        
        Le relazioni tra economia e cultura sono espresse nella Convenzione Unesco, 
2007, al fine di favorire la protezione e la promozione della diversità di 
espressioni culturali. L’articolo 2, sancisce il principio della 
complementarietà, nonché della funzionalità reciproca tra gli aspetti economici 
e culturali dello sviluppo di un paese, evidenziando come sia sostanzialmente 
«mozzato» un qualsiasi approccio alla conoscenza che non parta dall’assunto che 
non può prodursi sviluppo economico senza sviluppo culturale e viceversa.
Eppure, nell’interazione tra economia e cultura prevale ancora troppo spesso un 
approccio teorico da parte degli economisti, che pur riconoscendo l’esistenza di 
questo rapporto, spesso, ne danno una lettura piuttosto «miope» non riuscendo a 
definire le influenze che la cultura esercita nel sistema economico di una 
nazione. La giustificazione risiede spesso nella «pretestuosa» mancanza di dati 
e di indicatori necessari all’interpretazione, valutazione e misurazione dell’ 
impatto che la cultura genera sul sistema economico. Un ramo della teoria 
economica ancora poco sviluppato, poiché comporta uno spostamento dall’asse 
econo-centrica della visione globale ancora in larga misura prevalente.
Ciò nonostante l’imprescindibilità del rapporto tra economia e cultura è 
crescente e a dimostrarlo sono, per esempio, i mutamenti in atto nei paesi 
emergenti che hanno sostenuto il principio dello sviluppo, pur sempre basato 
sulle moderne teorie economiche occidentali (competitività, innovazione 
tecnologica, elevati investimenti, orientamento all’esportazione, 
specializzazione delle risorse umane, ecc), riconoscendo però il valore del 
radicamento culturale locale e conservatore delle identità territoriali (fede, 
valore della famiglia, rispetto della disciplina e dell’autorità, etica del 
lavoro, riconoscimento del valore della creatività e della produzione culturale, 
innovazione e coesione sociale). Il successo di questi paesi è ormai un dato di 
fatto, collocandosi questi ai vertici della scala economica globale, 
sconfessando così lo scetticismo di alcuni economisti sul reale apporto dei 
fattori culturali.
[...] Il terzo Rapporto Symbola, autori Fondazione Symbola e Unioncamere, 
è una fotografia sull’industria culturale italiana che racconta di un’economia 
italiana che per il 54% poggia sul 458mila imprese e quasi un milione e 400mila 
addetti tra industrie creative, culturali, patrimonio storico-artistico e arti 
visive cui si affianca il sistema culturale della Pa e il non profit di 
associazioni e fondazioni. Il valore del rapporto sta nella capacità di mettere 
a sistema un numero elevato di dati sul tema dell’industria culturale e 
creativa, valorizzando il patrimonio informativo di dati Unioncamere. I focus 
particolarmente interessanti sono quello sul turismo in relazione alla capacità 
di attivazione che le industrie culturali producono sulla spesa turistica, 
quello sulla formazione nel management culturale che ha approfondito in 
particolare le relazioni tra il sistema formativo e il mercato delle 
professioni, declinando il concetto di competenza afferente alla figura del 
manager culturale. Infine, una nuova elaborazione che riguarda il calcolo del 
moltiplicatore della cultura, che quantifica il prodotto generato a partire da 
un valore di produzione rilevato nel perimetro delle attività del sistema 
produttivo culturale. Insieme al Rapporto merita di essere citato anche un altro 
volume, I.T.A.L.I.A, geografie del made in Italy, scaricabile anch’esso nella 
homepage del sito di Fondazione Symbola che introduce ad un’altra discussione: 
se, in tempo di crisi, a «governare» è il capitalismo della conoscenza e delle 
reti, «l’X-factor» nella produzione di valore dipenderà sempre più dalla 
capacità delle imprese di produrre, in modo condiviso ed etico quei beni comuni 
dell'identità, del paesaggio, della coesione sociale, della sostenibilità che 
alimentano la distintività del made in Italy sui mercati globali. Questo volume 
traccia attraverso un interessante storytelling le prime proteine di un nuovo 
DNA, espressione della contemporaneità in cui cultura e manifattura si innestino 
reciprocamente, affinché l’economia della cultura possa produrre quei 
moltiplicatori del valore che soli gli consentono di fungere da volano anche per 
il resto del sistema produttivo.
[...] Civita ha pubblicato un rapporto intitolato l’Arte di produrre Arte.
Imprese culturali a lavoro. Il volume curato da Pietro Antonio Valentino, 
edito da Marsilio, è stato anch’esso realizzato dal Centro Studi «G. Imperatori» 
dell’Associazione Civita con il contributo della Fondazione Roma Arte-Musei e 
della Provincia di Roma. Esso descrive il quadro delle attività economiche 
legate alla produzione o all’uso della cultura e della creatività in Italia. 
Anche in questo caso centrale è il tema della misurazione (dimensione delle 
imprese CC e impatti economici che generano anche a confronto con gli altri 
Paesi europei). Una fotografia esauriente di debolezze e potenzialità esplorate 
del settore in Italia, in confronto con gli altri Paesi europei: parola d’ordine 
l’innovazione. La pubblicazione è strutturata in due parti: una prima, in cui si 
dà conto di ruolo e dinamiche dell’Industria Culturale e Creativa (ICC); una 
seconda, dove vengono analizzate le caratteristiche della domanda museale in 
Italia, con particolare attenzione ai «non visitatori», e stimati gli impatti 
economici più rilevanti associati alle mostre.
[...] Nel rapporto che lega economia e cultura un tema emergente è poi quello 
dell’innovazione sociale a base culturale. Darne una definizione precisa è 
difficile e probabilmente fuorviante perché agendo su un territorio vasto quale 
quello dell'Europa e dei suoi vicini, l’innovazione sociale coincide più con un 
modo di pensare emergente fondato su un’attiva partecipazione della società, dei 
cittadini. Quindi richiede al cittadino di non essere semplicemente consumatore, 
ma di partecipare allo sviluppo e all’implementazione, oltre che alla 
definizione iniziale del problema da risolvere [...].
[...] Il contributo parte da una costatazione: il mondo culturale nonprofit si 
regge economicamente, per la maggior parte, su trasferimenti, il 90% di questi 
sono pubblici, ma il loro ammontare è sceso in modo permanente. I trasferimenti 
europei, dalle fondazioni, da liberalità e sponsorizzazioni non possono 
compensare questa caduta. Quindi, il mondo culturale deve pensare a come vivere 
in questo nuovo «equilibrio». La soluzione salvifica non esiste, è invece 
opportuno perseguirne molte assieme: aumentare le entrate «di mercato» 
(bigliettazione, attività collaterali), aumentare il ricorso ai volontari, 
ridurre in generale i costi, al limite fondere organizzazioni e comunque 
inserirsi in reti, professionalizzare il management, intensificare la raccolta 
fondi, sfruttare il patrimonio esistente di proprietà o comunque accessibile 
(«federalismo demaniale»), ricorrere alla finanza esterna di debito, se 
possibile di capitale, e di progetto (project financing anche all’interno di 
partnership pubblico-privato). In sintesi, per sopravvivere, le organizzazioni 
del mondo culturale devono accentuare la propria anima di impresa, al di là che 
la forma giuridica prescelta sia for-profit o rimanga associativa, cooperativa, 
fondazionale o perfino pubblica. Il settore pubblico deve esercitare una 
funzione di facilitazione, all’interno di tavoli e partnership con il privato 
incluso il nonprofit. Sul versante patrimoniale, la fonte finanziaria principale 
delle organizzazioni culturali è oggi il debito, soprattutto bancario (forse 
€900 mln di affidamenti al nonprofit culturale). Gli spazi di miglioramento 
della relazione fra organizzazioni culturali e banche sono, però, ancora ampi. 
Intanto la qualità della relazione, testimoniata da una ricerca ad hoc della 
«Sapienza»,, è bassa e inferiore a quella media del nonprofit; va sviluppata una 
metodologia di analisi specifica del merito di credito nel settore culturale; si 
può approfondire il ruolo dei fondi di garanzia, a partire dalla creazione di 
facility a valere sui €210 mln già destinati nell’ambito di Europa Creativa. 
Infine, si può sviluppare il debito raccolto dal pubblico generale (crowdfunding 
in versione social lending), anche attraverso piattaforme innovative come Terzo 
Valore.
Giorgia Turchetto (Direttore Master Digital Heritage Università La Sapienza) 
| L'imprescindibilità 
del rapporto tra economia e cultura
