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		17/1/2015 ● Cultura
Libertà o morte
  Mario Vaccaro ● 2201 
        
        Una fatalità.
Come poter altrimenti definire la parabola evolutiva della libertà, le cui tappe 
significative presentano una purpurea costante … il sangue. Già. La parola 
libertà è spesso farcitura di discorsi intrisi di secchiate di retorica. E’ in 
particolare la propaganda dei guerrafondai – nel ruolo di aggressori ed 
aggrediti, non fa differenza – a farne un ricorso smodato, tributandole una 
sacralità a cui l’altrettanta, ma un po’ meno, sacralità della vita deve 
inchinarsi. In questa sorta di tripudio del sacro anche il bene più prezioso può 
essere sacrificato. Accade così che la ruota dei corsi e ricorsi storici compia 
fatalmente il suo giro e si apra una nuova finestra da cui poter unanimemente 
esibire questa parola, coadiuvando il fiato dei sostenitori col “mortal sospiro” 
di quanti si sono ad essa immolati … “bandiera rossa della libertà …”.
E’ dunque la morte ad alimentare la fiamma della libertà. Eppure, retorica a 
parte, siamo usi darla per scontata. Lo siamo talmente da credere, nella 
contemporaneità, la qualità della vita dipendere dall’andamento del PIL. 
Dimentichi che è invece la linea virtuale fin dove la libertà poter esercitare a 
delineare un concreto profilo di quel fattore chiamato benessere … una sottile 
linea rossa, come quella che Kipling asseriva stabilisse il labile confine tra 
lucidità e follia. Scontata, sì, talmente scontata da non far più caso ad una 
considerazione pure elementare: la nostra tronfia bocca mastica e sputa di 
continuo valori e ideali, quegli astratti orizzonti che sono di riferimento per 
il nostro intelletto intento nell’esercizio di costante tensione utile per poter 
asseverare l’unico senso che vale davvero la pena, per una persona sensata, 
accostare alla propria esistenza: diventare uomini migliori. Bene, in assenza 
del loro zoccolo duro, la libertà, tutti i valori resterebbero pure astrazioni, 
non sarebbero anzi neppure concepibili. Eppure la diamo talmente per scontata 
che crediamo essere eccezionali le circostanze in cui nella storia della società 
umana essa abbia fatto vacanza. E sì, perché la nostra superficialità c’induce 
pure a dimenticare che spesso sono le istituzioni politiche, le convenzioni 
sociali e i pregiudizi morali a tramare/remare contro, se non addirittura ad 
ergersi a suoi nemici giurati.
E così, fatalità nella fatalità, proprio nella Parigi in cui ha echeggiato il 
grido “liberté, égalité, fraternité” si è presentata l’occasione di poter 
fertilizzare il terreno della libertà con sangue fresco, di poter compiere 
un’ulteriore riflessione sul tema e colmare un ulteriore tratto verso la 
definitiva presa di coscienza. Pare proprio essere una prerogativa umana quella 
di tornare, da eterni ripetenti, ad esaminare concetti già tradotti dai nostri 
avi. Tornando, quale esempio, alla Parigi della Rivoluzione e della Comune, in 
avviato 3° millennio il tema dell’uguaglianza, quanto ad attuazione concreta, 
vanta tuttora un credito nei confronti della società. Sì, perché sul versante 
della teorizzazione le moderne costituzioni degli stati democratici pluralisti 
hanno invece individuato valide formulazioni. In Italia abbiamo l’art. 3 comma 2 
che promuove un principio rimasto però tale … accantonato il socialismo – solo 
per adesso, questa la mia facile profezia – l’abbattimento delle differenze 
economico-sociali è un problema irrisolto e, tuttavia, non percepito più come 
tale. Queste differenze, che di per sé già deprimono il concetto di libertà – 
ridotta così a mera affermazione di principio - si sommano a quelle di ordine 
culturale, ancor più deleterie. Se le prime impediscono il concreto esercizio 
della libertà, queste invece ne reprimono in partenza lo sviluppo, sono 
abortive. Per poter eludere la iattura dei condizionamenti – tanti e di ogni 
tipo - e formulare un pensiero libero, il nostro intelletto dovrà pur 
riconoscerli come tali? Nel caso di specie, quante Primavere arabe occorrono 
affinché quel mondo riesca a ripianare le differenze culturali con la società 
occidentale e raggiungere il nostro livello comunque non ideale? Sono, queste 
considerazioni, talmente scontate da far comprendere perchè la libertà sia 
concetto da non dare affatto per scontato.
Ora, sebbene sia periodo di saldi, non è per mettere in vetrina cose scontate 
che ho deciso di prendere a ditate la tastiera. Vado a spiegarmi. Quel titolo 
l’ho scelto non solo perché, come evidenziato, rappresenta spesso i termini di 
quello che pare un baratto. “Libertà o morte” è locuzione che molti avranno 
sentito pronunciare in svariati contesti, ma è bene individuarne l’origine. Nel 
1781 un giovane di 22 anni, tal Schiller, scrive “I masnadieri”, opera teatrale 
di grande successo che gli consente di essere all’epoca paragonato addirittura a 
Shakespeare. Gli ideali evocati dai personaggi del dramma rendevano a tal punto 
partecipe il pubblico che, pare, le donne svenissero per la forte emozione. Cosa 
scatenava tanta passione? Il mondo occidentale conosceva già questa parola 
grazie ad un altro libro, il “Libro”: “la Verità rende liberi” recita il Vangelo 
di Giovanni, in cui la stessa venuta di Cristo è descritta, in chiave 
metaforica, come l’avvento di Colui che sa e non verrà riconosciuto come tale, 
che tradurrà questo sapere ai discepoli i quali, per tale motivo, saranno invisi 
ai consimili … “Ecco, io vi mando come pecore in mezzo ai lupi” (Matteo 10:16). 
Sempre a ribadire la scriminante della Conoscenza … “Non crediate che io sia 
venuto a portare pace sulla terra … ma una spada. Sono venuto infatti a separare 
il figlio dal padre …” (Matteo 10:34). La Chiesa, purtroppo, rinunciando a 
seguire un altro dettame del Cristo, “dai a Cesare …”, e occupandosi 
principalmente di potere temporale, ha nei secoli favorito l’ignoranza più che 
la diffusione della Parola di Dio.
Una mia opinione? Certo, ma sta di fatto che occorre attendere l’ispirazione di 
un poco più che ventenne per sentir pronunciata una parola che a noi moderni 
pare così scontata, una parola che, magari non espressamente censurata, per 18 
secoli è stata ritenuta quantomeno non gradita … ecco il motivo di tanta 
passione. Quindi sia nell’ambito letterario – considerando la funzione oracolare 
dell’arte - e ancor più nella formulazione giuridica, la libertà è concetto 
giovane. Ciò la rende fragile, come una bolla di sapone che, se toccata, si 
dissolve. La sua giusta calibrazione, poi, è davvero impresa ardua: nella stessa 
area di cultura occidentale la libertà di pensiero assume diverse connotazioni. 
Accade così che sia consentito sfottere religioni e religiosi ma di non poter 
esternare convinzioni negazioniste (in Francia) o predicare ideali fascisti (in 
Italia). E accade, soprattutto, che si avveri il seguente paradosso: il generale 
consenso verso la difesa della libertà verrà utilizzato, in tema di sicurezza, 
per approvare leggi speciali che la stessa libertà andranno a limitare. Sentir 
sdoganare la locuzione “guerra al terrorismo” è, per le mie orecchie, operazione 
propedeutica ad una restrizione di libertà, la predisposizione a regole 
d’ingaggio per quella che qualcuno vuole si prospetti come scontro di civiltà. 
Ma, ovviamente, sono io il primo a sperare di essere il guastafeste di turno.
Sappiate però che mentre state invocando il riconoscimento di tale valore, c’è 
chi all’ombra trama per sfilarvi la libertà da sotto il naso, per giunta col 
vostro consenso. E, soprattutto, come sempre è capitato con le guerre, può 
accadere che quel sangue non venga utilizzato per fertilizzare il terreno su cui 
far attecchire la pianta della libertà, ma come erbicida. 
