BLOG FONDATO NEL GIUGNO DEL 2000
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Un viaggio nella cultura non ha alcuna meta: la Bellezza genera sensibilità alla consapevolezza.

Luigi Sorella (blogger).
Nato nel 1968.

Operatore con esperienze professionali (web designer, copywriter, direttore di collana editoriale, videomaker, fotografia digitale professionale, graphic developer), dal 2000 è attivo nel campo dell'innovazione, nella comunicazione, nell'informazione e nella divulgazione (impaginazioni d'arte per libri, cataloghi, opuscoli, allestimenti, grafiche etc.) delle soluzioni digitali, della rete, della stampa, della progettazione multimediale, della programmazione, della gestione web e della video-fotografia. Svolge la sua attività professionale presso la ditta ARS idea studio di Guglionesi.

Come operatore con esperienza professionale e qualificata per la progettazione e la gestione informatica su piattaforme digtiali è in possesso delle certificazioni European Informatics Passport.

Il 10 giugno del 2000 fonda il blog FUORI PORTA WEB, tra i primi blog fondati in Italia (circa 3.200.000 visualizzazioni/letture, cfr link).
Le divulgazioni del blog, a carattere culturale nonché editoriale, sono state riprese e citate da pubblicazioni internazionali.

Ha pubblicato libri di varia saggistica divulgativa, collaborando a numerose iniziative culturali.

"E Luigi svela, così, l'irresistibile follia interiore per l'alma terra dei padri sacra e santa." Vincenzo Di Sabato

Per ulteriori informazioni   LUIGI SORELLA


12/10/2010 ● Cultura

Il “metodo Boffo” e il “metodo Indro”: un giornalismo a colpi di dossier


  Pietro Di Tomaso ● 1446


Preliminarmente è bene distinguere fra giornalismo d’inchiesta e giornalismo a base di dossier.
L’inchiesta scandaglia la realtà, annota le dichiarazioni delle persone, le loro opinioni, anche se parte da una ipotesi iniziale. E chi la conduce è pronto a prendere atto dei dati reali raccolti nel modo più oggettivo possibile. L’impegno profuso comporta una ricerca personale delle fonti, capaci di svelare aspetti del tutto inusitati del problema affrontato. E’ questo il giornalismo d’inchiesta, per molti l’unico vero modo di essere giornalisti.
Al cronista che trascrive quello che gli arriva sulla scrivania, la deontologia contrappone sempre il reporter considerandolo “cane da guardia della democrazia” che controlla il potere e dà voce a chi non ce l’ha. Denunciando le storture della politica (e non solo) perché siano corrette. Il reporter deve analizzare documenti e intervistare testimoni. Come nel caso Watergate, quando due giovani reporter del “Washington Post” misero insieme le dichiarazioni dei diversi protagonisti per ricostruire il piano di corruzione elaborato dalla squadra del potente dell’epoca. In Italia abbiamo giornalisti d’inchiesta molto bravi (Stella, Rizzo, Gabanelli, per citare).
Il giornalismo a base di dossier è l’opposto: scandaglia nel privato, porta alla luce soltanto la bassezza morale, il disonore, senza incrociare pareri, partendo da una tesi precostituita: colpire, screditare (si ricordi cosa diceva Lenin: parlate male, parlate male, qualcosa resterà). Il deputato Adolfo Urso (finiano) dice: “Una cosa è la libertà di informazione, che noi tutti dobbiamo sempre e comunque difendere, altra cosa l’azione di dossieraggio contro chi dissente o solleva critiche o obiezioni”. Oggi si parla di “metodo Boffo” che sovverte il ruolo della libera informazione, lo piega agli usi e al volere del potente di turno. Gli effetti di tale “metodo” praticato al presidente della Camera Fini sono di dominio pubblico.
Molti, però, non ricordano il “metodo Indro” applicato per l’appunto a Indro Montanelli.
Come spiega Federico Orlando sul quotidiano Europa, il metodo Boffo “è figlio del ‘metodo Indro’ che fu messo a punto e applicato nel 1993, quando il conflitto con Berlusconi diventò irreversibile, e fu praticato fino al maggio 2001, anno della seconda vittoria elettorale del cavaliere. (…) Montanelli morì, dopo mesi di insulti e minacce, nel luglio 2001”. Orlando riferisce altresì di una intervista di Giorgio Bocca all’amico Indro ponendogli la domanda: “Secondo te, da dove è arrivata tutta la ribalderia che ci troviamo in giornali e televisioni?” E Montanelli: “Fanno a chi urla più forte, a chi fora lo schermo. Noi non urliamo, noi abbiamo la debolezza di evitare la scostumatezza. Le provocazioni di questi signori non mi spaventano, mi spaventa la loro maleducazione. Chi li protegge o li usa per lo spettacolo sembra non aver capito che i buoni costumi sono tutto per una buona società, vengono prima dello stato, prima delle leggi. Non sanno che senza un buon costume consolidato e rispettato non si fabbrica socialmente niente”. Eppure, nonostante questa nobiltà d’animo, si rovesciava ogni giorno sul Vecchio giornalista una massa di insulti: “al punto – aggiunge Federico Orlando – che Lamberto Sechi, direttore dell’Europeo, intitolò la copertina del 22 dicembre 1993 ‘Un grido da Arcore: fucilate Montanelli’. Non erano pallottole… ma piombo: aveva comprato per 500 lire una ragazza in Abissinia, aveva due mogli una a Roma una a Milano, e via. Firmato Sgarbi (…). Era il ‘metodo Indro’, tre lustri prima del ‘metodo Boffo’".
Conclusione pedagogica di Orlando (rivolta ai giovani del ‘Movimento a cinque stelle’ di Beppe Grillo): “Il punto d’arrivo di chi ha schifo di qualsiasi democrazia: ritrovarsi leninisti, di destra o di sinistra non fa differenza”.
Le considerazioni sopra formulate contribuiscono a rinforzare in noi la convinzione in merito alla necessità di iniziative che abbiano come obiettivo fondamentale la risoluzione dei conflitti di interesse: sì, i conflitti al plurale. Perché se non vengono risolti, può la libertà di informazione sentirsi tranquilla? Lascio la risposta al lettore di queste note.





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