Il
Capitolo della chiesa di Guglionesi ed i vescovi di Termoli:
storia di
un lungo contrasto (1690-1884)
di Sergio Sorella
IIª PARTE
1.
Inizia il contrasto tra clero e vescovo
Fu il vescovo Michele Petirro,
che nel 1690, l’anno successivo alla sua nomina, pose per primo la questione di
rivendicare all’ordinario diocesano l’immissione in possesso del sacerdote
eletto dopo averne verificato idoneitatem talis ministerii. I sacerdoti,
contro l’intromissione del vescovo, subito si appellarono alla Curia
Metropolitana di Benevento che, nello stesso anno, revocò il decreto vescovile
confermando i diritti del Capitolo di Guglionesi.
Di fronte a questa ferma presa di posizione, Petirro non oppose resistenza.
Infatti negli anni 1692, 1698, 1701 e 1703
furono eletti altri consorziali senza che il diritto antico fosse in alcun modo
contestato. Tuttavia, Petirro si rivolse alla Sede pontificia, lamentando nelle
relationes ad limina
che il clero di Guglionesi non esibiva i documenti comprovanti i propri diritti,
con il pretesto che essi erano stati distrutti in un incendio verificatosi
nell’archivio della chiesa. Sappiamo, invece, che i capitolari custodivano
gelosamente tutta la documentazione e continuarono nel loro diritto di eleggere
i sacerdoti, l’arciprete ed il primicerio.
Dai primi anni del Settecento
la Chiesa cercava di mettere in atto una politica di riorganizzazione il cui
punto di riferimento era rappresentato dal vescovo che avrebbe dovuto
controllare maggiormente le chiese locali lasciate, fino ad allora, abbastanza
libere ed autonome.
A partire da tale data i vescovi di Termoli rispettarono l’obbligo di residenza
e cercarono di applicare a livello territoriale quanto richiesto dalla Curia
romana.
Nel 1738 il vescovo Giuseppe
Antonio Silvestri, pur non confutando il diritto della chiesa ricettizia di
Guglionesi per intero, come invece aveva tentato di fare Petirro, ritenne che
l’eletto non potesse essere immesso nel possesso della dignità senza la sua
conferma, che non avrebbe dovuto essere semplice, ma con pieno esame di merito
sulle doti e capacità sacerdotali. Quell’anno il Capitolo aveva eletto il
sacerdote Nicola Dè Fini al posto dello scomparso Nicolantonio Ascenzo ed il
vescovo, per mezzo del suo vicari, vietò l’immissione nel possesso prima della
sua conferma; essendo l’eletto, invece, entrato in possesso della carica, il
vescovo lo sospese a divinis insieme a tutti i sacerdoti del Capitolo.
Questi reagirono vigorosamente appellandosi alla Curia Metropolitana di
Benevento che, dopo attento esame, rimosse la sospensione.
La causa passò alla Sacra Congregazione ecclesiastica di Roma la quale, il 15
dicembre del 1742, giunse alla determinazione che l’elezione doveva rimanere di
competenza del Capitolo ma il vescovo aveva il diritto di conferma per
«denegare absque gravi, et legittima causa, at datur omnino gratij».
Con questo decreto il vescovo, per la prima volta, acquisiva il potere di
rifiutare, per motivi gravi e legittimi, la conferma degli eletti; si apriva la
strada per nuovi ed ulteriori contrasti. Il potere dei capitolari veniva leso
nella sua autonomia dall’ordinario diocesano ma restava, nella sostanza, ancora
consistente.
Nel giugno del 1745, con la
morte del primicerio De Finis, il vescovo Isidoro Pitellia ritenne che
l’elezione del sostituto era di competenza della Curia romana per diritto di
affezione in quanto il defunto era protonotaio apostolico.
Il Capitolo, incurante di questo divieto, lo rimpiazzò con il sacerdote Filippo
Massari, nativo di Guglionesi, appartenente ad una delle famiglie più facoltose
del paese e ricorse alla Sacra Congregazione del Concilio per sostenere le
proprie ragioni. Il vescovo, dal canto suo, cercò di eleggere primicerio del
Capitolo un sacerdote non di Guglionesi, un certo Bianchini. A questo punto
anche l’Università, insieme ai sacerdoti, si oppose e, dopo una lunga e
dispendiosa causa, alla comunità fu nuovamente riconosciuto il jus
patronato.
Risolta positivamente questa
questione, i capitolari si trovarono ad affrontare la sostituzione
dell’arciprete De Marinis, gravemente malato. Ma non riuscirono a trovare una
soluzione e quando, nel 1752, il sacerdote morì, il vescovo di Termoli, Tomaso
Giannelli, comunicò al clero che aveva avocato a sé la facoltà ed il potere di
nominare il sostituto, per porre freno –sosteneva- alla litigiosità del clero
guglionesano, attribuendo al vescovo la nomina della dignità di arciprete.
L’opposizione del Capitolo, ma anche dell’Università, non mancò e furono
intentate azioni legali per vedere riconosciuti i diritti antichi della comunità
ecclesiale di Guglionesi. Nell’agosto del 1755 Antonio Chiarito, ordinario
della Regia Camera della Summaria, esaminò l’Istrumento del 1313 ed i
risultati comprovarono la «veridicità, autenticità e genuinità» del documento.
Invece, in modo inaspettato,
e con pentimenti successivi, il Capitolo accolse le argomentazioni del vescovo
Giannelli che, nel panorama diocesano, esercitava un indubbio potere per il suo
carisma ed il suo ascendente. Così la carica di arciprete diventava di libera
collazione. Giannelli, infatti, verso la fine del 1756, convinse il Capitolo a
cedere l’arcipretura e a renderla di libera collazione attraverso un
Istrumento firmato l’anno successivo.
I sacerdoti avevano ceduto perché ritenevano che il contenzioso in atto stava
determinando gravi pregiudizi agli uffici religiosi per l’assenza
dell’arciprete. Nell’atto pubblico si determinò: «che il primicerio dovesse
considerarsi come mero ufficio in chiesa ricettizia e perciò non soggetto a
riserve e a patronato nella di cui collazione dovessero osservarsi le
Costituzioni Canoniche per i benefici Curati e liberi: col solo patto,
dichiarazione e riserba, che al concorso, e provista debbano ammettersi soltanto
i sacerdoti e i cittadini della terra di Guglionesi, dovendo sempre escludersi
gli esteri».
Si chiudeva, con questo accordo, un lungo periodo nel quale il clero locale
aveva gestito autonomamente le cariche ecclesiastiche. In un contesto nel quale
i sacerdoti del Capitolo litigavano tra loro per l’attribuzione delle cariche,
il vescovo acquisiva maggior potere di controllo ed organizzava gerarchicamente
la chiesa locale.
Due anni dopo, il 4 luglio
1759, il Capitolo era di nuovo in tensione con il presule, in quanto questi, nei
decreti della S. Visita, aveva minacciato di imporre sanzioni pecuniarie ai
sacerdoti che non officiavano la dottrina cristiana e l’assistenza ai moribondi.
Il vescovo stabiliva che i capitolari dovessero coadiuvare l’arciprete nella
cura delle anime. Dichiarando coadiutori i sacerdoti, nel caso di elezione di un
nuovo capitolare, il vescovo voleva esaminarne la nomina e dunque condizionarla.
Cadeva in questo modo un’altra prerogativa della chiesa ricettizia di
Guglionesi: quella di eleggere autonomamente i sacerdoti del Capitolo.
Il pericolo fu subito
percepito dai sacerdoti che diedero vita ad un contenzioso che si concluse solo
il 13 agosto del 1765. I vari passaggi di queste azioni furono: una supplica al
sovrano
ed una informativa alla Real Camera di S. Chiara di Roma nella quale si chiedeva
anche di annullare l’Istrumento firmato nel 1757 con Giannelli. Il
risultato fu, però, un decreto contrario; le alte sfere della magistratura
religiosa riconobbero e legittimarono il potere del vescovo a discapito del
patronato laicale posseduto dal clero locale. Il Capitolo, allora, ritenne
opportuno ricorrere direttamente al re Ferdinando IV di Napoli e, dopo una
informazione presentata alla Regia Camera di Lucera, si appellò contro la
decisione della Chiesa di Roma, chiedendo il ripristino dei diritti antichi e
cioè di poter nominare autonomamente la dignità di arciprete con la sola
conferma del vescovo; di abolire la conferma del vescovo sulla elezione di un
nuovo capitolare; di evitare la coadiuvazione tra arciprete e capitolare.
Per tre anni si attesero le
risoluzioni di questa controversia, con una fitta corrispondenza tra sacerdoti
ed i propri legali, fino alla pronuncia del 13 agosto 1765, che fu una
sostanziale conferma del documento di transazione del 1757. Infatti, la
sentenza della Real Camera decretò che: il primicerio restava un ufficio e non
vi era diritto collattivo; l’arciprete rimaneva di libera collazione,
ammettendosi alla carica i soli cittadini nati a Guglionesi; i partecipanti
dovevano insegnare la dottrina cristiana secondo il decreto del vescovo
Giannelli e dovevano coadiuvare con l’arciprete nella cura delle anime.
Per conferma, precisava la sentenza, doveva intendersi un atto di subordinazione
del Capitolo al vescovo che comunque non comportava una perdita del diritto;
infatti il vescovo non poteva negare la conferma dell’eletto se non nel caso, di
grave impedimento ostativo se uno degli eletti era stato inquisito o non era di
costumi irreprensibili. Il vescovo non aveva il compito di valutare il maggiore
o minore merito dei candidati poiché in tal modo ledeva le libertà, legittime e
riconosciute, dei capitolari.
Si trattava di una
risoluzione intermedia che riconosceva i titoli del clero locale ma li inseriva
in forme di controllo da parte dell’ordinario diocesano. Al Capitolo erano state
tolte le antiche prerogative riguardanti la libera ed autonoma elezione dei
partecipanti e dell’arciprete; restava, tuttavia, una specifica competenza
sulla designazione dei capitolari tra i quali il vescovo doveva scegliere
l’arciprete, mentre la dignità di primicerio non veniva toccata. Come vedremo
in seguito, la vicenda era tutt’altro che chiusa!