Il Capitolo della
chiesa di Guglionesi ed i vescovi di Termoli:
storia di un lungo
contrasto (1690-1884)
di Sergio Sorella
IIIª PARTE
1.
Qualche numero su Termoli e Guglionesi
Tra Guglionesi e Termoli vi
erano dissapori che avevano radici antiche, motivate anche dalla pretesa
usurpazione della sede vescovile, operata dai termolesi, nel momento in cui
l’antica Usconio sarebbe stata distrutta dalle incursioni dei Goti.
Ma non riguardavano solo la rivendicazione della sede vescovile. Avevano radici
antiche come documentano, ad esempio, i Registri angioini: «Il 2 giugno 1310 un
folto gruppo di guglionesani di ritorno da un pellegrinaggio nel Santuario di
S. Michele Arcangelo a Monte S. Angelo sul Gargano, irruppe minaccioso sulla
città di Termoli armati di ogni specie di armi seminando il terrore tra gli
inermi».
Il clero di Guglionesi era
profondamente penetrato nel tessuto sociale ed economico del paese. I privilegi
fiscali contribuivano a gonfiare il numero dei chierici e dei sacerdoti che
beneficiavano delle prebende e dei lasciti testamentari. L’estrazione sociale
del clero rifletteva in buona parte la composizione della società locale. Il
carattere di chiesa ricettizia generava un clero uscito soprattutto dai ranghi
di famiglie che, in misura maggiore o minore, possedevano terre. La nomina a
canonico del Capitolo era molto ambita e rappresentava la partecipazione alla
massa comune con la conseguente divisione delle rendite. Inoltre c’era da
dividersi le decime
che, a partire dal 1690 consistevano nel pagamento da parte dei contadini di 14
misure a versura per grano, legumi ed altri cereali, nonchè «mezza carafa di
olio per ogni imposta ed una soma di vino per ogni dieci».
Nel 1742 i sacerdoti
residenti a Guglionesi erano 29 (senza considerare gli ordini monastici!) su una
popolazione di 3400 abitanti.
Le rendite in dotazione del Capitolo erano appetibili se, da un elenco inviato
alla Regia Camera della Sommaria di Napoli il 29 settembre 1796, comprendente
tutti i censi, fondi e canoni nonché i territori dati a colonia con relativi
pesi fiscali che si versavano annualmente, si evince che i possedimenti del
Capitolo ammontavano a 1116,23 versure su una superficie comunale complessiva di
9000 versure, per un totale di 969,68 ducati.
A Termoli, invece, nel 1741 gli
abitanti erano 970 ed il numero dei chierici era di 12 unità.
Invece
i sacerdoti del Capitolo della città adriatica dichiaravano terreni per 674
versure, di cui 600 in contrada Pantano (prevalentemente paludosi), per una
rendita di 129 ducati oltre ad una quindicina di case date in affitto.
Pochi numeri che documentano condizioni economiche molto diverse tra i due
centri del basso Molise. Del resto nei secoli precedenti 12 vescovi avevano
fatto di Guglionesi la loro residenza abituale, mentre la riorganizzazione
attorno alla sede vescovile voluta dalla Chiesa di Roma, stava determinando una
perdita di autonomia da parte del clero guglionesano che non risparmiava
giudizi pesanti nei confronti dell’ordinario diocesano, Giuseppe Buccarelli nel
1774: «Egli è pieno di livore e odio verso codesto clero».
A fine secolo, con un
documento di transazione del 1795, furono modificate le prestazioni ed abolite
le decime che i cittadini guglionesani dovevano versare alla chiesa locale, ad
eccezione di quelle riguardanti il grano (non più le 14 misure a versura ma 10
misure a versura).
Anche in questo contesto,
parzialmente ridimensionante, il clero locale conservava delle prerogative ed un
prestigio rilevanti. Per tutta la seconda metà del Settecento i sacerdoti del
Capitolo di Guglionesi continuarono ad eleggere i partecipanti nella misura dei
posti vacanti; gli arcipreti che si avvicendarono nella dignità, tutti di
Guglionesi: De Marinis, Polidori e Pace, senza che vi fossero contrasti con
l’ordinario diocesano.
2.
Gli inizi dell’Ottocento: tra ridimensionamenti e
rivendicazioni
La fine del Settecento, con
l’arrivo dei francesi, diede un duro colpo al potere della chiesa locale; la
parentesi murattiana d’inizio secolo, comportò un assetto amministrativo nuovo,
con l’ampliamento della provincia ai territori del basso Molise. In questi anni
si assiste ad un ridimensionamento della struttura ecclesiastica con la vendita
dei beni della chiesa e con la soppressione di molti ordini religiosi, di
conventi e monasteri. Iniziava anche per i sacerdoti di Guglionesi un lento
declino documentato dal contrasto tra autorità civili e clero ricettizio. Il
nuovo clima determinava anche il tentativo di molti coloni di non versare le
decime sul grano, ritenendo che la chiesa ed il Capitolo fossero dotati di
sufficienti rendite provenienti dà terraggi; ma un rescritto sovrano
conservò le decime sacramentali sino alla determinazione analitica delle rendite
della chiesa.
Ogni occasione era comunque
buona per i sacerdoti di Guglionesi per tentare di riacquistare diritti che si
ritenevano usurpati indebitamente dalla città di Termoli. In questo periodo, nel
1818, anche a seguito di una lunga vacanza dell’ordinario diocesano, i sacerdoti
del Capitolo intentarono una causa presso la Corte napoletana per rivendicare
l’antica sede vescovile di Usconio a Guglionesi. La richiesta era suffragata
dall’impossibilità –dichiaravano i sacerdoti- per la chiesa termolese di
garantire una degna rendita al vescovo a causa della povertà della mensa, mentre
a Guglionesi c’erano risorse economiche adeguate e disponibili dei locali capaci
di ospitare sia il vescovo che la sede del seminario. L’iniziale consenso dato
dal vescovo Giambattista Bolognese, determinò una presa di posizione dei
cittadini di Termoli con la raccolta di risorse sufficienti alla mensa
vescovile per ottemperare al proprio ufficio e la successiva comunicazione della
Sacra Congregazione del concilio, il 4 febbraio del 1820, che la sede vescovile
non sarebbe stata spostata.
Dopo il Concordato del 1818,
tra la Chiesa e lo Stato borbonico, furono emanati dei decreti ed un Breve
pontificio Impensa con i quali di abolirono molti privilegi, usi e
consuetudini delle chiese locali senza giusto titolo. In seguito a ciò, il
vescovo di Termoli si attribuì il potere di scegliere liberamente (collazione)
anche i canonici della chiesa di Guglionesi, spogliando il Capitolo del diritto
patronato. Ma i sacerdoti di Guglionesi, ritenendosi estranei a quanto previsto
dal Breve pontificio Impensa, che – a loro dire- riguardava le chiese
ricettizie senza giusto titolo, procedettero a rimpiazzare il posto vacante nel
collegio dei partecipanti.
Allo stesso modo il Capitolo elesse, il 6 agosto 1820, il sacerdote Angelo Maria
Pace ad arciprete della chiesa di S. Maria Maggiore, riappropriandosi
dell’antico diritto di libera elezione considerando il Breve Impensa non
applicabile alla chiesa ricettizia di Guglionesi. Iniziò un altro braccio di
ferro con il vescovo che durò fino al 1824. A partire da quella data, l’autorità
ecclesiastica diocesana immise nel possesso, in qualità di capitolari, sacerdoti
scelti autonomamente dal vescovo. Pur cedendo, il Capitolo non consentì la
destituzione dei sacerdoti eletti con l’antico sistema.
Il Breve Impensa
attribuiva nuovo potere all’ordinario diocesano sorretto anche dalle istruzioni
del 14 novembre 1822 nelle quali la commissione dei vescovi, con il Nunzio
apostolico, aveva inteso regolare le ordinazioni nelle chiese ricettizie.
Nei confronti di queste disposizioni il Capitolo di Guglionesi non produsse
ulteriori reclami e si uniformò al nuovo ordine.
Il 14 settembre 1834
Ferdinando II, in occasione della visita a Guglionesi, concesse le insegne
maggiori al Capitolo con le seguenti motivazioni: «Arciprete e partecipanti di
Guglionesi si distinguono per edificante zelo ed impegno nel servizio della loro
Chiesa Ricettizia, per lodevole condotta in ogni tempo tenuta e per costante
devozione verso il Nostro Real Trono».
Nonostante tutto,
l’accettazione delle disposizioni vescovili da parte del clero di Guglionesi
durò fino alla caduta del regime borbonico; con l’avvento dello Stato unitario
i sacerdoti tentarono di riprendersi i diritti persi. La vicenda non era
conclusa.