BLOG FONDATO NEL GIUGNO DEL 2000
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Un viaggio nella cultura non ha alcuna meta: la Bellezza genera sensibilità alla consapevolezza.

Luigi Sorella (blogger).
Nato nel 1968.

Operatore con esperienze professionali (web designer, copywriter, direttore di collana editoriale, videomaker, fotografia digitale professionale, graphic developer), dal 2000 è attivo nel campo dell'innovazione, nella comunicazione, nell'informazione e nella divulgazione (impaginazioni d'arte per libri, cataloghi, opuscoli, allestimenti, grafiche etc.) delle soluzioni digitali, della rete, della stampa, della progettazione multimediale, della programmazione, della gestione web e della video-fotografia. Svolge la sua attività professionale presso la ditta ARS idea studio di Guglionesi.

Come operatore con esperienza professionale e qualificata per la progettazione e la gestione informatica su piattaforme digtiali è in possesso delle certificazioni European Informatics Passport.

Il 10 giugno del 2000 fonda il blog FUORI PORTA WEB, tra i primi blog fondati in Italia (circa 3.200.000 visualizzazioni/letture, cfr link).
Le divulgazioni del blog, a carattere culturale nonché editoriale, sono state riprese e citate da pubblicazioni internazionali.

Ha pubblicato libri di varia saggistica divulgativa, collaborando a numerose iniziative culturali.

"E Luigi svela, così, l'irresistibile follia interiore per l'alma terra dei padri sacra e santa." Vincenzo Di Sabato

Per ulteriori informazioni   LUIGI SORELLA


11/12/2013 ● Cultura

Il comunismo è morto, la Chiesa... come sta sciupata!


  Mario Vaccaro ● 1802


Caro Paolo, ricambio da subito il tuo saluto, sinceramente, travalicando il confine del puro e semplice galateo. Non sono stato repentino nel rispondere, assalito da dubbi insorti per il sottile imbarazzo che provo nel trattare una materia che – sapendoti credente … e in buona fede – diventa ancor più delicata se evocata in tua presenza. La metafora sportiva a seguire è di ben poco pregio, eppur mi serve. Se è vero che uno scontro fisico attuato all’insegna della sportività non costituisce violenza, ora anche il nostro confronto dialettico – nel caso assuma toni aspri – mi auguro tu lo consideri leale: valga questa banalità quale preventiva richiesta di biasimarmi per l’abrasività del mio modo d’esprimermi. Entrando nel merito della tua richiesta di chiarimenti, è il caso forse di precisare quale pulsione assecondo all’atto di scrivere: sulla tastiera neppure per semplice diletto agisco da giornalista o da scrittore. Sono invece un lettore, e in tale veste m’interesso alla scrittura come fatto estetico … dunque se è vero che rendo partecipi gli altri del dono che a tutti è stato concesso, il proprio originale ed esclusivo punto di vista, lo abbiglio assecondando i gusti d’un unico destinatario: me stesso. Pubblicarlo poi nel blog significa metterlo a disposizione della personale chiave di lettura di ciascuno, affinché tragga le conclusioni che vuole e crede … le sue, e se è affascinato/sedotto dalle mie … tanto piacere.

Conclusa la dovuta premessa di carattere generale, passo ai tuoi dubbi, iniziando dal titolo del tuo scritto, in cui mostri interesse su cosa il comunismo intenda per pace. Entro nel personaggio e mi armo subito d’un piglio polemico: conosco una sola istituzione che attua una sorta di “semantica creativa”, assegnando ad alcune parole (ex: vita, virtù) significati diversi da quelli – e in barba alla natura convenzionale – comunemente intesi. Sebbene ritenga fuorviante tale questione, preciso comunque che mi riferivo all’originaria definizione, nata per contrapposizione a “bellum”, chè le successive accezioni in positivo non m’interessano. Ed è anche per dotare la mia opinione d’un maggiore contegno che ho cavalcato quella autorevole di PPP: quella della pace è solo un’implicazione secondaria dell’applicazione della dottrina marxista, poiché all’assenza delle differenze socio-economiche – e trasformati tutti in passeri - corrisponderà una drastica riduzione della conflittualità sociale. Ed è d’altronde opinione condivisa che “le disuguaglianze economiche, sociali e culturali troppo grandi tra popolo e popolo provocano tensioni e disordine e mettono in pericolo la pace”: no, non è un estratto dal “Manifesto”, ma dall’enciclica “Pacem in terris” del Papa Buono, all’epoca già Infallibile.

Il prosieguo della tua considerazione – questo il motivo dell’ampia premessa – mi dà l’idea che per alcune porzioni di realtà utilizziamo differenti categorie interpretative. E così, nell’universo parallelo in cui vivo io la pace non può svanire da un momento all’altro, dacché già sono in corso vari conflitti. In uno di essi l’Italia è addirittura parte in causa, a meno di voler dare retta a quel sottoprodotto della colonizzazione made in USA che ci vedrebbe recitare il ruolo di “portatori di pace” o “esportatori di democrazia”: nel mio dizionario sono eufemismi, contrassegnati da un filo di tragica ed involontaria ironia. Anche “speranza” e “Provvidenza” sono espressioni d’una retorica che non m’appartiene. Sulla prima è già capitato in questo blog di esprimermi, in quel senso ottimamente reso da un adagio popolare: credo si sia proprio disperati se, al di là d’ogni fondata aspettativa, per un auspicato evento si fa affidamento su inverosimili nessi di causalità … non è un caso che il noto luogo comune la definisca “l’ultima a morire”, invocando essa dopo il decesso d’ogni altra verosimile aspettativa. La seconda, oltre a rappresentare l’ideale corollario della prima, appartiene ad un’interessante categoria, quella delle innovazioni dottrinali cattoliche. Come l’Immacolata Concezione, la S.S. Trinità, l’Infallibilità papale (fonte ulteriore di possibili innovazioni) e tante altre, anch’essa è concetto estrapolato dalla Sacra Bibbia grazie ad un’interpretazione … estensiva (?). La Divina Provvidenza, tuttavia, presenta limiti interpretativi evidenti anche ad un non teologo: come si concilia col libero arbitrio (circa le modalità in cui opera il destino, si può essere deterministi o fatalisti, non un mix d’entrambe le cose)? Hai alluso a mie non ben precisate imprecisioni (la lascio, ho un debole per le cacofonie) sulla Chiesa, ma il seguente ragionamento mi pare non faccia una grinza: pur ammettendo la coesistenza teorica di due concetti incompatibili, non credi che il buon Dio si serva di questa Sua Facoltà per tessere trame di ben pregiata fattura, intervenendo nel destino dell’umanità inteso in una dimensione spirituale e globale, anziché per l’appagamento della speranza d’un singolo?

Ecco dunque, Paolo, abitiamo due mondi diversi, che utilizzano un differente linguaggio. Ma se preferisco continuare a vivere nel mio mondo, è pur vero che il tuo lo comprendo, sebbene il tuo intelletto sia informato a quel particolare registro a me estraneo che è la fede. Come riportato nell’articolo “La liquefazione”, nella rubrica “Solitudini d’autore” (e grazie a molta letteratura di qualità che molto ha educato il mio intelletto sulla religiosità – Borges su tutti), penso anch’io alla fede come ad un atto razionale, avente ad oggetto la verità. La propensione d’un uomo alla religiosità gli è data da quella superiore facoltà, l’intelletto per l’appunto, con cui egli manifesta le sue attitudini ad avvicinarsi al Divino: tramite la letteratura o l’arte in genere, oppure semplicemente amando, l’uomo giunge ad “intuire” ciò a cui il percorso di fede conduce con un maggior grado di coscienza e consapevolezza. Quanto l’intelletto sia coinvolto in questo processo di Conoscenza del Verbo, della Verità, lo si comprende già leggendo la Divina Commedia se non, canonicamente, il Vangelo secondo Giovanni. Come vedi, pur non avendo – e crucciandomene – il dono della fede, mi sforzo di comprenderlo. Spesso, tuttavia, non trovo un analogo atteggiamento negli uomini di fede, alcuni dei quali mal tollerano chi “non è dei loro” (come se la fede non fosse quella difficile conquista com’io credo che sia, soprattutto in tempi d’imperante positivismo).

Quel che mi trova davvero contrariato è invece una tua considerazione che – capirai ora il perché della banale metafora - sollevata nel corso d’un confronto dialettico assume una valenza assimilabile ad un fallo antisportivo. Mi tocca snocciolare un’ulteriore ovvietà: chi si fa portatore d’una differente opinione ha, in dialettica, due strumenti praticabili, argomentare a favore della propria e/o confutare l’altra … tertium non datur. Già in un mio precedente scritto sulla politica locale il contraddittore liquidava il mio diritto alla critica consegnandomi un pass per la categoria quellichelacolpaèsempredeglialtri. Tu addirittura vincoli, pena il disfattismo, l’esercizio di tale diritto alla proposizione d’una soluzione concreta al problema sollevato: se per affrontare grandi problematiche già occorre una certa dose di coraggio intellettuale, con la tua formula sarebbe impossibile instaurare un dialogo su certi temi. Credo vi sia una punta d’invidia alla base della simpatia da me riposta per un personaggio di “Pulp fiction”, che si presenta lapidariamente con un “sono il sig. Wolf, risolvo problemi”: è dalle elementari che non ne risolvo, e si trattava di robetta … contadini che continuavano imperterriti a rompere uova e che occorreva aiutare nel quantificare il danno.

Sul tuo invito alla colletta alimentare nulla quaestio: riguardo a tale aspetto il mio contegno segue quello del tanto da me bistrattato “uomo medio”, il cui contegno segue unicamente il principio d’utilità e appartiene a quelle maggioranze silenziose e colpevoli - in questo caso di egoismo e menefreghismo - da cui l’Italia è presa in ostaggio. Non ho giustificazioni, dunque il seguente appunto tale funzione non ha: sebbene lodevolissima, nel mio fantomatico dizionario tale iniziativa appartiene però alla categoria “lascia il mondo così com’è”. E’ vero che a volte i piccoli gesti possono cambiare il mondo, purtroppo questa non è una di quelle. Per tagliare corto e per analogia, il compianto Mattei che faceva partecipare agli utili i paesi produttori di petrolio – anziché ottenere una concessione e “ritirare il piatto” – avrebbe con quel gesto potuto cambiare il mondo … invece il mondo ha cambiato Mattei, in un corpo “orizzontale, possibilmente freddo” (“Per qualche dollaro in più”, frase di Volontè che in seguito interpreterà anche Mattei …).

PS: La critica alla Chiesa è, in quello scritto, incidentale e strumentale. L’opportunità contraria è appunto quella di poter discutere di religione, anche senza la patente della fede. Se avessi voluto davvero criticare la Chiesa, avrei messo il dito su un’attività pastorale in cui il gregge è assente, sui pastori che non evangelizzano, dunque non testimoniano della gioiosità della vita: dimmi tu cosa è rimasto, nella pratica della vita intellettuale quotidiana, del fervore mistico di Cristo o di S.Francesco. Il “peccato originale” che sconta il cattolicesimo consiste nell’aver privato il fedele, nel processo di conoscenza della Verità, di quell’efficacissimo strumento che la cultura madre greca aveva battezzato, la dialettica. Cristo si fa interprete d’una religione che finalmente pone l’individuo al centro dell’attenzione, poi l’Istituzione che fa le Sue veci cosa professa? Elabora dogmi e consacra il clero come possessore della Verità rivelata in terra (consegnandogli la proprietà intellettuale dell’esercizio della professione di fede) … e non ha mai davvero avuto l’intenzione di lasciare a Cesare il suo (nei fatti l’Unità d’Italia si compie con la “breccia di Porta Pia”, con l’uso della forza per costringere alla resa il Papa Re, ultimo monarca nostrano ad aver abbandonato la pratica della pena di morte). Conseguenza di tale contegno? I fedeli di altre religioni professano da “professionisti”, il 95% dei cattolici lo sono per statistica, entrano … pardon, si fermano sulla soglia del cattolicesimo comportandosi da parvenus. Tutto questo detto, su una religione che critico perché desidererei “migliore”: se mi ponessero la famosa domanda della torre, invitandomi a buttar giù il più serio ostacolo alla vita civile, riserverei la mia spinta allo stato democratico e non alla Chiesa (dopo aver parlato male – ancora senza approfondire - di animalisti e della Chiesa, la scalata verso la vetta dell’impopolarità non è terminata).





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