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		8/3/2008 ● Cultura
I “fatti” in una Comunità non sono prerogativa della politica
  Luigi Sorella ● 2103 
        
        Aver aperto un blog circa otto anni fa (a proposito del “fare”) mi suggerisce di fornire ai lettori alcune mie considerazioni sulla 
questione “fare politica”. Con l’apertura di un dibattito “virtuale” sul tema 
“fare politica”, sollecitato dai contributi testuali dei lettori di Fpw, da 
alcuni politici locali, da vari amici ad argomentare sulla populistica sintesi 
che invita ai “fatti e non alle parole”, ritengo la questione interessante dal 
punto di vista dialettico (a proposito di “parole”) e degno di opportuno 
contributo intellettuale.
In un periodo come questo, “fatto” di bilanci (politici), “...ho fatto questo, 
ho fatto quest’altro, ...si è deciso questo e si è deciso quest’altro...”, è 
evidente che, quasi spontaneamente, si chiedono “fatti” a tutti. Anche a chi ha 
avuto modo, intenzioni e convinzioni di “non fare politica”.
Dando tale contenuto e tale peso ai “fatti”, a mio avviso, la mostra 
retrospettiva sui “fatti e non parole” è una scelta autonoma di chi intende 
spiegare i propri “fatti”. Servono a poco il plauso degli altri e l’autocelebrazione 
per “avere fatto”. È un impegno assunto ed esercitato nella Comunità “per fare”, 
e dovrebbe prescindere dai meriti.
E veniamo alla questione meritocratica, al criterio che distribuisce 
“certificazioni” di qualità del “fare” in una Comunità.
I “fatti”, in una piccola Comunità come la nostra (in fondo viviamo in un paese 
di circa 5.000 anime), non sono esclusivi dell’impegno in politica, dunque una 
prerogativa del “fare politica”. Nella nostra realtà l’impegno nel “fare per la 
Comunità” si sceglie per vocazione, per passione, per competenza. Quindi, oltre 
che nella politica, la scelta del “fare” si orienta in vari ambiti: nello sport, 
creando e gestendo un movimento; nel sociale, agendo in prima persona sulle 
questioni del degrado e del disagio; nella cultura, studiando e valorizzando la 
nostra identità e il nostro patrimonio; nell’animazione, promuovendo attività 
ricreative e turistiche per la nostra realtà (citiamo il grande impegno dei 
Comitati festività in questi giorni); nella tutela, sostenendo la difesa 
dell’ambiente, del volontariato; nella valorizzazione locale, coinvolgendo i 
giovani o gli anziani in progetti innovativi ed aggreganti.
È imbarazzante, invece, quando si è costretti all’impegno “morale” in politica 
per contrastare pregiudizi e censure del “fare una certa politica”. A Guglionesi 
l’ “attivismo del fare” c’è. È vivo. Cresce con e tra i giovani, nonostante sia 
poca o niente la riconoscenza di una certa “visione politicante”. Ma è pur vero 
che nella nostra piccola Comunità persiste l’ “attivismo del non far fare agli 
altri”, in diversi degli ambiti citati. Nel “fare una certa politica” e nell’ 
“attivismo del non far fare agli altri” la coerenza rare volte resta un’eredità 
culturale, un impegno concreto verso la Comunità, prima, durante e dopo 
l’incarico (oserei scrivere il “privilegio”) municipale.
L’impegno incondizionato nel “fare per la Comunità” non ha bisogno di bilanci e 
di “meriti”. Si va avanti nella coerenza personale e nell’onestà intellettuale. 
I giudizi “meritologico” e metodologico lasciamoli alla Storia dei “fatti”, anzi 
ai “fatti” della Storia. Ricorreva l’anno 1890 quando Sindaco di Guglionesi era 
Luigi Sorella (1887-1890) e a Napoli venne dato alle stampe il libro di Angelo 
Maria Rocchia (Cronistoria di Guglionesi e…) [cfr. libro di “Sant’Adamo di 
Guglionesi”, pag. 239]. La memoria dei “fatti” ha consegnato all’odierna 
Comunità un testo di Cronistoria ancora molto sfogliato, molto criticato, molto 
discusso, molto ricercato, ma del “Sindaco anno 1890” e della sua 
Amministrazione non vi è sedimento di ricordi. Nei “fatti” della Storia vi è 
pure la pagina indelebile dell'impegno in politica di un amministratore locale 
(circa un ventennio fa), allorché destinò le indennità maturate per il suo 
mandato istituzionale al restauro storico dei portici di Piazza XXIV Maggio a 
Guglionesi.
Infine una considerazione sui ruoli e sui tempi istituzionali del “fare”. 
L’essenza della “trasparenza amministrava” è voluta dal Legislatore (cioè il 
Popolo italiano), il quale “sospende pro tempore”, dopo i due mandati 
consecutivi, l’impegno personale di un Sindaco. Esiliarsi intellettualmente, con 
senso di responsabilità, per rispettare nella sua totale determinazione tale 
principio democratico è una grande prova di esplicazione dei valori umani e 
dell’educazione civica. Se il “suggerimento” normativo fosse accolto, 
serenamente, con onestà intellettuale e con coscienza politica, magari anche da 
chi ha condiviso ed esaurito il doppio mandato in simbiosi con il Sindaco 
indicato dal Legislatore, il futuro e lo sviluppo sociale di una piccola 
Comunità sarebbe prospero di cultura dei “fatti”. Gli stessi Statuti e Codici 
etici rielaborati dai recenti partiti o cartelli partitici contemplano 
l’efficacia della “trasparenza amministrativa” attraverso una momentanea 
sospensiva dei ruoli istituzionali, di origine politica, oltre un certo periodo.
L’anti-politica è una manifestazione della politica, non è una scelta del “non fare politica”.
