21/8/2014 ● Cultura
Il peso della cultura, la cultura un tanto a peso
Riprendo la riflessione su quel fenomeno che ho inteso denominare culturismo,
interrotta proprio laddove stavo per tracciare i relativi confini. Lo spunto per
la riflessione, è bene precisarlo, proviene da due atteggiamenti ben distinti
tra loro, al punto da potersi convenzionalmente riferire a due categorie di
persone. Reputo culturisti quelli che su FB, ad una platea di centinaia di
amici, offrono un loro avatar che è la versione photoshoppata dell'io reale.
Dunque lo stesso edonismo che li spinge a documentare momenti da copertina della
vita reale - ad esempio foto delle pietanze prelibate che una % di amici
virtuali non mancherà, per buonismo, di etichettare con un "mi piace" - induce a
postare frasi altrui pescate su internet, nell'ambito di una generale adesione
ai pensieri altrui, spesso di carattere politico (la moda del momento è
l'avversione agli stranieri), frutto di pura suggestione ma che in tutta
probabilità regala loro l'illusione di essere detentori di un proprio pensiero.
Che sia un bar, uno stadio o una comunità virtuale, l'aggregazione di tanti
esemplari della nostra specie dà inevitabilmente luogo ad una reazione chimica
che produce di solito un qualche alcaloide della stupidità. Un discorso a parte
meriterebbero quelli che ritoccano anche il loro passato: fino all'altro ieri
non hanno, bontà loro, nutrito alcuna passione culturale, in men che non si dica
il buon gusto, a mò di Spirito Santo, è sceso su di loro. Da Vasco Rossi a
Leonard Cohen, da nessun libro alla migliore letteratura russa, dai Vanzina a
Kubrick ... miracolati dalle Muse oppure esiste una Scuola Radio Elettra per
diplomarsi persone colte. Internet, un meraviglioso strumento per attuare una
democrazia culturale e, chissà, nel futuro anche politica, viene usata come
piattaforma per far decollare il proprio edonismo ... che spreco!
Poi ci sono quelli che "ah, la cultuva è impovtantissima pevchè bla bla e ancova
bla", quelli che presenziano agli eventi culturali, alla presentazione di un
libro che non leggeranno seppur regalatogli con dedica, che spendono le belle
parole di prammatica sul compaesano Gizzi ma della cui produzione letteraria non
sanno nulla ché altrettanto gli interessa ... fanno come quei qualcuno che alla
domenica vanno in chiesa giusto per. Di solito, quando li incroci, vengono da
sinistra. E ci sono tutti i crismi della scuola di pensiero. La scuola "W.Veltroni",
quella che ... il cinema italiano in crisi va sostenuto con provvedimenti e
maggiori risorse? Ma dai, facciamo un altro festival. Similmente, a Guglionesi
si ritiene di poter affrontare il vuoto culturale con operazioni di maquillage
... sagre e compagnia bella o qualche operazione monstre che non coinvolge
nessuno ... pollice verso.
Ma, si dirà, il mondo è cambiato.
L'idea che abbiamo della cultura è eredità di un'epoca non molto recente.
L'immagine, evocata nel corso degli studi scolastici, è un portato
dell'Illuminismo e del Romanticismo: un ciclista che s'inerpica per una lunga e
tortuosa stradina di montagna ... ecco, penso non vi sia metafora migliore. E
quale miglior luogo comune vivente dell'erudito Leopardi, ingobbitosi sui libri,
il cui cervello sudava alla ricerca dell'aggettivo che cavalcasse alla
perfezione un verso? E' quello un paradigma di ricerca, con l'etimologico
richiamo allo scavare, da cui siamo ben lontani. Oggi la Rete ci pone di fronte
ad una strada spianata che conduce al sapere ... quantomeno nelle immediate
vicinanze: Google, Wikipedia ... un clic per tuffarsi nell'Oceano della
Conoscenza, ma non per un'immersione in profondità ... si resta in superficie a
surfare epperò, fiuuu ... con quale velocità! Per privilegio d'anagrafe ho
imparato a passeggiare su entrambi i percorsi della conoscenza. E mi dispenso
dal fornire giudizi, finirei per cadere nella retorica della nostalgia. E'
inevitabile, d'altronde, dare spazio al nuovo che avanza, cercando nel contempo
di preservare quel che del vecchio merita attenzione. E' risaputo essere
un'umana debolezza l'intravedere la barbarie in ogni novità culturale, la nostra
pavidità c'induce ad opporre resistenza verso i cambiamenti. Ed è, dicevo, la
mia generazione a vivere questo contrasto da una situazione privilegiata: nelle
nostre menti la tradizione e la barbarie hanno imparato a convivere.
Magari in campo culturale non si ha l'esatta percezione della rivoluzione ad
opera dell'informatica, ed allora per cotanto valga volgere lo sguardo
all'economia. Il motore della cd. new economy è costituito da società che stanno
tracciando il nostro presente/futuro quanto a stile di vita. Società
fisiologicamente diverse da quelle del passato, calzanti un nuovo concetto di
ricchezza, il cui ago della bilancia pende tutto dalla parte del reddito, ad
ovvio discapito del patrimonio. Il loro valore è legato alla redditività
azionaria: inceppatosi il fragile meccanismo, ovvero precipitato il valore delle
azioni, la liquidazione di società senza beni patrimoniali non porta alcun
centesimo di ricavi, i "buffi" restano insoluti cosicché falliscono tutte le
società dell'indotto ... macelleria finanziaria. Cosa c'entra mò l'economia col
culturismo? Il culto dell'apparenza, appunto. Quasi 3/4 della ricchezza deriva
dal movimento di capitali finanziari, cioè da aria fritta. Mentre l'economia
reale, fatta di sudore e fatica, ci stritola coi suoi ingranaggi, pochi
fortunati prosperano friggendo l'aria. E se poi la frittura riesce male, è
l'economia reale a subirne le conseguenze. Orbene, l'arte di un popolo, la sua
cultura, possono non recepire tale influsso? Per dare un'idea dell'influenza
della moderna visione dell'economia sull'arte, imbocco la scorciatoia
dell'esempio: un europeo e un americano - non è una barzelletta - che ammirano
le meraviglie di un palazzo adibito ad albergo a 5 stelle, si chiederanno
rispettivamente chissàquantocosta (patrimonio) e chissàquantorende (reddito) ...
infatti se non dovesse produrre abbastanza reddito, per quanto splendido,
l'americano quel palazzo lo butterebbe giù. La Bellezza oggi, se improduttiva,
non basta da sola a legittimare la propria esistenza, occorre il beneplacito del
Potere, a sua volta fondato sul consenso ... siamo, insomma, nei paraggi del
culturismo. Se la nostra architettura avesse seguito le stesse direttive, se
Cosimo de' Medici e discendenti vari avessero edificato la Firenze di allora con
questo spirito, non l'avremmo di certo ereditata. Questa la cultura
dell'effimero che rende effimera la cultura stessa. Questo il peso della
cultura, ovvero quello che il Potere decide di assegnarle.
Riprendo il filo del discorso, ovvero del percorso della conoscenza. Altra
scorciatoia: prendiamo due uomini, il sottoscritto a venti anni e quello di
oggi, interessati ad approfondire l'argomento "Veda". Il primo si sarebbe recato
in biblioteca, impiegando vari pomeriggi ad individuare prima, per poi
consultarli, i vari testi la cui lettura gli sarebbe parsa imprescindibile ... è
una descrizione volutamente breve di un articolato processo. L'io di oggi,
seduto di fronte alla scrivania virtuale, si serve invece di un motore che scava
per lui, Google. Ora, non so bene quanti sappiano in realtà cosa Google faccia
in quel meno di un secondo. Vabbè, in pochi istanti offre una serie di
risultati. E - garantiscono - in una percentuale che supera il 90% è tra i primi
cinque che troveremo davvero ciò che ci serve. Già, ma vi siete chiesti in
quella frazione di secondo Google cos'abbia davvero fatto? Ha fatto l'identico
lavoro che il mio io ventenne impiegava ore a fare? E il risultato, soprattutto,
è lo stesso? Orbene, quel che l'ha reso il motore di ricerca per eccellenza è
stata un'intuizione dei suoi fondatori. Fino al suo avvento il più famoso era
Altavista, come gli altri basato su una concezione meramente quantitativa: fatta
la ricerca, visualizzava quelle pagine in cui la parola in questione era
contenuta il maggior numero di volte. Ponendo quindi il caso che nella Rete
fosse presente un documento il cui autore, proprietario del cane Veda, faceva
un'elegia dell'animale citandolo più volte ... ecco il documento che Altavista
avrebbe dato in pasto al nostro clic. Google, invece, basa la sua ricerca sui
link, ovvero sui richiami che, contenuti nei vari documenti editi sulla rete,
vengono cliccati dagli utenti.
E' un meccanismo solo in apparenza simile a quello delle note bibliografiche,
potendo invece il link provenire dai più svariati documenti, quindi uno sui Veda
potrebbe ad esempio trovarsi anche in un sito di cucina (per tale motivo hanno
perfezionato l'algoritmo assegnando loro un diverso valore, in base
all'autorevolezza del sito che li contiene). In definitiva, all'utente assetato
di conoscenza viene offerto il cocktail preferito dalla maggioranza. E' questa
una scelta orientata in favore del dinamismo, al cui altare è la competenza ad
essere sacrificata (oltre ad innovazione e creatività, visto che la pigrizia
indurrà a seguire gli itinerari più gettonati e non certo gli ultimi risultati
della ricerca). Dunque, se a vent'anni i suggerimenti circa il testo migliore da
consultare li chiedevo ed ottenevo da gente competente in materia, oggi su
internet accetto una proposta frutto dell'insieme di scelte operate da utenti
xlo+ neofiti come me. E' un po' come se, trovandomi a Termoli, mi occorresse un
medico e, desideroso di individuare il più bravo, anziché chiedere consiglio al
mio medico personale o consultare la struttura sanitaria accedendo alla loro
scala di valutazione, chiedessi consiglio ai passanti, scegliendo poi "il più
votato". E' una soluzione che non garantisce un risultato certo, tuttavia mi
condurrà nelle immediate vicinanze (nel peggiore dei casi beccherò il secondo o
terzo in classifica).
In parole povere, anche la cultura è oggi sottoposta al meccanismo del consenso
- e torniamo in zona culturismo - alla dittatura della maggioranza. Ora, se
prima mi sono esentato dal fornire giudizi di valore sull'emanciparsi della
cultura dal concetto di fatica, quest'ultimo aspetto pone tuttavia un serio
problema. La cultura nasce infatti dal confronto, dalla sintesi dialettica, la
diversità rappresentando un'imprescindibile risorsa. La globalizzazione potrà
forse in economia costituire un'opportunità, mentre nella cultura l'omologazione
è sinonimo di sterilità. E già, l'arte/cultura si alimenta del particolare punto
di vista che la sensibilità di ogni essere umano gli assegna come dote unica ed
irripetibile. E infatti una cultura dominante che colonizzi le altre impoverisce
l'umanità, così oggi l'egemonia culturale americana ci rende meno sapiens.
Tuttavia Google è uno strumento, come tale è l'abilità del proverbiale "manico"
a segnare la differenza tra chi riesce a cogliere l'intera gamma di opportunità
che esso offre e chi si accontenta di apprendere in maniera nozionistica
informazioni che occorrerebbe assimilare passandole al vaglio della capacità
critica: questa è la scriminante che separa gli istruiti dai colti*.
Pensare che la somma aritmetica di informazioni e conoscenze possa fare di noi
delle persone colte ... ecco l'errore di valutazione dei tanti, troppi
culturisti.
PS: Magari mi sbaglio, ma ho l'impressione che nel nostro paese - c'era una
volta la stella del Molise - la cultura si sia talmente annacquata che c'è gente
seriamente convinta di promuoverla. Le comunque apprezzabili buone intenzioni e
il lavoro di volontariato, in assenza di quella rara italica virtù che è la
competenza, può produrre unicamente sagre paesane. Beninteso, la leggerezza ha
il suo notevole perché, ma non di sola leggerezza vive l'uomo. A chi mi
etichetterà come uno di quelli buono solo a criticare dichiaro da subito la mia
resa ... è un'argomentazione di tale spessore che neppure proverò a confutarla.
*"Si può essere istruiti senza essere veramente colti. L'istruzione è un
vestito. La parola istruzione significa che una persona si è rivestita di
conoscenze. E' una vernice, la cui presenza non implica necessariamente il fatto
di aver assimilato tutte quelle conoscenze. La parola cultura, di contro,
significa che la terra, l'humus profondo dell'uomo, è stata dissodata." - A.
Artaud